C’era una volta un grosso ranocchio, che era poi il principe delle rane di Torradello. Aveva un regno verde e rigoglioso e pieno di felicità, dove le rane passavano amabilmente il tempo saltando da una pozza all’altra e gracidando ai bordi delle risaie, con il sole e con la pioggia, dall’alba al tramonto e poi anche durante la notte, sotto la luce della luna e delle stelle. Ma gli ingordi villici di Torradello pensarono di catturare queste rane felici e polpose per cuocerle (fritte, impanate, al forno, nel risotto) e servirle nell’unico ristorante del borgo, e così il principe ranocchio dichiarò guerra a Torradello e ai suoi abitanti. L’epica battaglia durò una giornata intera e si concluse con la sconfitta delle rane, trucidate barbaramente ed in gran numero. Il principe e le poche rane rimaste fuggirono lontano. I villici di Torradello raccolsero i corpicini senza vita delle rane perite in battaglia e organizzarono un sontuoso banchetto per celebrare la vittoria. Il piatto forte, neanche a dirlo, furono le rane. E non vissero felici e contenti, purtroppo. Qualcuno fu felice (chi di andarsene, chi di mangiare le rane), qualcuno un po’ meno. Ma così è la vita, e così si conclude la nostra storia.
(immagine presa da qui)
Il fatto è che è tutta la mattina che mi sento alienata. Appena sveglia, in doccia, in macchina, in metro, a piedi fino all’ufficio, in ufficio. Come se non fossi io. Mi guardo le scarpe camminando e mi sistemo la borsa sulla spalla cercando di fingere normalità, di rimanere ancorata alla realtà, ma ogni odore e ogni luce e ogni rumore mi riportano altrove. L’odore acre del treno appena fermatosi al binario mi ricorda quando finito il liceo mi imbarcai per un lungo e sgangherato interrail con l’amica del cuore. La luce chiara ma ancora debole di questa mattina di maggio mi ricorda i pomeriggi stanchi in cui un po’ studiavo sui libri di matematica e un po’ fissavo lo sguardo fuori dalla finestra della biblioteca, osservando le fronde degli alberi e fantasticando. Il rumore delle macchine e dei tram mi ricorda – facendomi corrugare impercettibilmente la fronte – il rumore del prato e delle foglie che stavo ascoltando fino a poche ore fa, circondata dalle margherite, in un posto molto vicino a Torradello, luogo che nel mio immaginario è ormai associato all’epica battaglia del principe ranocchio.
Eccesso di yin? Può essere. Testa tra le nuvole, dolore reumatico al ginocchio, i sintomi ci sono tutti. Che cosa diavolo ci faccio qui? Potrei yangizzare la mia vita, sperando di radicarmi più saldamente nel mondo, ma sono troppo evanescente oggi per concentrarmi su questo compito.
E così vago e divago, rigorosamente in silenzio. I pensieri si aggrovigliano come rovi intricati e selvatici nella mia testa, prendendo curve inaspettate, intrecciandosi ad altri pensieri e ricordi. C’è tanto verde davanti ai miei occhi. Prato, alberi, boschi, bambù, foglie, muschio. La domanda resta: che cosa diavolo ci faccio qui?
Tra 117 giorni sarò a Bangkok, fine del mondo anticipata permettendo; ora di allora spero di aver almeno iniziato ad ipotizzare delle risposte.