L’ERASMUS AD ATENE, AI TEMPI DELLA CRISI – Parte I

Da Postpopuli @PostPopuli

di Alberto Giusti

In mezzo ai deliri italici, proiettare lo sguardo oltre la soglia di casa può essere, in questo momento, corroborante e illuminante. Per questo oggi intervistiamo due studenti italiani in Erasmus: Brenno Bianchi, studente di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli (Roma) e Francesco Carfì, studente di Scienze Politiche alla Cesare Alfieri (Firenze).

Il Partenone di Atene – wallstreetravel.com

Cari Brenno e Francesco, voi in questo momento siete ad Atene, nella città simbolo della crisi europea dei nostri anni: la capitale greca, più volte raccontata dai media per le violente manifestazioni anti-austerity, e largamente frequentata in questi anni di crisi dai tecnici finanziari della Troika. Perché avete scelto proprio Atene per vivere la vostra esperienza Erasmus?

Brenno:  È una domanda che mi hanno fatto quasi tutti,  rimasti increduli alla notizia che sarei andato ad Atene. Prima di tutto bisogna precisare che la mia università per le destinazioni in Spagna, Francia, Germania ed Austria richiede la conoscenza della lingua locale, ed ho dovuto scartarle tutte non parlando nè spagnolo, né francese né tedesco. Di mete nel Regno Unito avevo solo l’Università di Derby, ma proprio perché era l’unica di madrelingua inglese ci sarebbero state decine di richieste per i due posti disponibili. Rimanevano dunque le destinazioni in Scandinavia e Benelux più la Grecia.  Le prime due però avevano tre difetti principali: innanzitutto un approccio allo studio della Scienza Giuridica completamente diverso da quello italiano (incentrato sull’analisi di sentenze e non sullo studio delle elaborazioni dottrinali),  quindi l’elevato costo economico che avrebbe avuto un Erasmus in Svezia, Danimarca o Norvegia (l’università di Oslo sul suo stesso sito si premura che i suoi ospiti arrivino con almeno tremila euro per sostenere la permanenza) ed infine passare tutto l’inverno fra i geli nordici non era una prospettiva molto allettante.  Dall’altro lato avevo il richiamo dei miei studi classici unita alla vergogna di non aver mai visitato il Partenone e i luoghi sacri dell’antichità classica. Così ho ceduto a Pericle ed al Sole, ed ho scelto l’Università Nazionale e Capodistriana di Atene.

Francesco: Da politologo in fieri mi sarei dovuto perdere un’occasione del genere?

 Qualcuno (genitori, amici, professori…) vi ha sconsigliato o consigliato questa scelta? Con quali obiezioni o incoraggiamenti?

Brenno:  La scelta di Atene è stata puramente personale  né i miei genitori né i miei professori hanno voluto interferire. Piuttosto c’è sempre stata una forte sorpresa ed apprensione fra parenti e colleghi ogni volta che annunciavo che avrei passato il primo semestre del terzo anno in un paese che s’immaginavano falsamente prossimo alla guerra civile. Al che spiegavo loro mie ragioni come ho fatto a voi e le loro riserve cadevano. Una cosa in particolare mi faceva sentire sicuro della scelta: non so come funziona a Firenze, ma noi quando torniamo dall’Erasmus dobbiamo scrivere un rapporto seguendo rigide linee contenutistiche in merito alla nostra esperienza.  Questi rapporti vengono tutti catalogati e conservati nell’archivio dell’ufficio relazioni internazionali della Luiss. Avendo letto tutti quelli a partire dal 2005 relativi ad Atene, che descrivevano una situazione assai più tranquilla e “normale” rispetto a quella che traspariva dai mass-media italiani,  mi sono fidato dei miei colleghi e non ho avuto remore.

Francesco: Nessuno mi ha consigliato né sconsigliato. È una scelta che ho preso da solo, unilateralmente, e che, ovviamente, è stata avallata dalla mia Facoltà.

Com’è stato il primo impatto con la città ellenica?

Brenno:  Il mio arrivo ad Atene rappresenta bene il paradigma di quelli che sono stati i mesi successivi.
Atterro all’Aeroporto Internazionale E. Venizelos e subito mi salta agli occhi come sia enormemente grande, enormemente moderno ed enormemente vuoto. Soprattutto vuoto. Una cattedrale nel deserto perfetto stile Cassa del Mezzogiorno. Vado a prendere la metropolitana e scopro che proprio per il giorno del mio arrivo è stato indetto uno sciopero di 24h dei trasporti su rotaia (tra l’altro in Grecia la legge non prevede che vengano garantiti i servizi essenziali negli orari pendolari). Sono costretto a prendere l’autobus che in due “comodissime” ore mi porta in Piazza Sýntagma.  Durante il tragitto osservo la città che scorre lentamente sui finestrini. Mi risaltano agli occhi le autostrade colossali a tre corsie per senso di marcia più corsia d’emergenza totalmente vuote ed il fatto che il 70% dei negozi  lungo la strada sono chiusi, come moltissimi edifici che chiaramente ospitavano alberghi. La sensazione è di trovarsi in un imprecisato capoluogo di regione del Sud Italia. Arrivato a Piazza Sýntagma chiedo informazioni su come arrivare al mio alloggio, stupendomi non solo di come l’inglese sia diffusamente conosciuto e parlato abbastanza fluentemente, ma anche della generale simpatia che riscuotono gli italiani ben esemplificata dal detto greco (in italiano) “Una Faccia, una Razza”.

Francesco: L’impressione è stata quella di essere arrivato nel Sud Italia. Traffico sregolato, motorini ovunque, gente senza casco, palazzi non finiti, piccole attività ovunque etc. Non molto diversa dal nostro meridione, anche – soprattutto – per l’atteggiamento cordiale e gentile delle persone nei confronti degli sconosciuti, specialmente se stranieri come me.

Come vi trovate nell’università greca? Si sente il peso dei tagli di questi anni? E quanto lo sentono i vostri compagni di corso greci?

Brenno:  Mi piacerebbe potervi dire cosa ne pensano i miei colleghi greci ma, purtroppo, non ne ho. I corsi in inglese sono aperti ovviamente anche agli studenti non erasmus, ma loro preferiscono frequentare quelli nella loro lingua. Comunque ho avuto modo di scambiare opinioni sia con gli stessi professori sia con i membri dell’Associazione Esn Kapa.

Prima di tutto c’è da sgombrare il campo da numerosi equivoci: da quando è iniziata la crisi i tagli draconiani sono sempre stati annunciati, talvolta votati in parlamento, quasi mai implementati. Ad oggi l’Università Greca rimane totalmente gratuita (non esistono né tasse universitarie, né tasse d’iscrizione, né tasse per il servizio mensa). L’effetto della crisi si sente solo in tre ambiti:  il principale, quello che ha provocato una forte mobilitazione dei due principali sindacati studenteschi della Facoltà di Giurisprudenza (quello collegato a Syriza e quello collegato al KKE), è stato che per il primo anno il governo non ha più passato gratuitamente i libri di testo, ma solo la loro versione in formato pdf: i sindacati ritengono impossibile studiare al computer ed eccessiva la spesa di 5€\10€ per stamparli in copisteria.

Secondariamente si è aperto un dibattito politico sulla necessarietà di modificare l’articolo 16 della costituzione greca, il quale proibisce esplicitamente l’esistenza di università private e consegna l’intero settore ad una gestione puramente pubblica. Tale modifica costituzionale è ferocemente avversata da Syriza e KKE (Papandreu invece già ai suoi tempi ci provò) in quanto ritengono che si verrebbero a creare università di prima, seconda… quarta categoria, andando contro il principio di eguaglianza sostanziale. I due partiti però non tengono a mente due dati: intanto che il mantenimento dell’istruzione terziaria interamente in mano pubblica unita ad istanze egualitaristiche fin troppo spinte ha impedito la concentrazione di risorse necessaria per la creazione di poli d’eccellenza (in generale l’università greca è ben livellata, ma verso il basso). Secondariamente, l’accesso a tutte le facoltà è regolato da un numero chiuso de facto (test d’ingresso obbligatori talmente difficili da superare che agiscono come un numero chiuso). Questi due punti uniti assieme hanno generato un esodo di giovani greci verso istituzioni universitarie europee (in particolare londinesi). Giovani che poi non ritorneranno nel loro paese e non contribuiranno al suo sviluppo.

Infine, l’unico taglio reale che c’è stato in Grecia in questi anni è stato quello degli stipendi dei dipendenti pubblici. I professori universitari non hanno fatto eccezione e si sono visti ridurre la busta paga di 200€, passando a 1600€ al mese.  Forte fra loro è la preoccupazione di ulteriori tagli per portare il livello del loro emolumento ai livelli dei loro colleghi bulgari, cioè 900€ al mese.

Francesco: L’approccio universitario col quale mi sto confrontando è alquanto diverso da quello della Cesare Alfieri. Non dobbiamo seguire i corsi – sfortunatamente in greco – e dobbiamo costantemente tenerci in contatto con i docenti ed aggiornarli riguardo ai progressi nello studio. Ci viene chiesto di scrivere degli “essay” su degli argomenti specifici scelti da noi studenti o suggeriti dal docente e su cui alla fine dovremo tenere un esame orale. Nonostante non segua i corsi – ad esclusione del corso di lingua greca –  vivo  nello studentato dell’Università e il che mi da modo di essere a costante contatto sia con studenti greci che con tutti gli altri erasmus.  I nostri colleghi ellenici non risentono particolarmente dei tagli, sono più che altro “indignati” per il fatto che qui i professori siano più Baroni che in Italia, che usino illecitamente i soldi dell’Università etc, che la politica sia del tutto disinteressata alle problematiche di chi perde il lavoro e di chi non lo trova e che l’Unione Europea  (per essere corretti, alcuni paesi europei) non stia facendo nulla per risolvere la situazione, anzi, la stia soltanto peggiorando.  Fino ad ora ho percepito in loro molta rassegnazione. Una rassegnazione consapevole però. Consapevole del fatto che per anni qui si è tenuto un tenore di vita ben più alto di quello che realmente poteva permettercisi e consapevole del fatto che la situazione non andrà di certo a migliorare. Questa è la più dura conferma che potessi ricevere riguardo quello che spaventa noi italiani, ossia, che ben presto il nostro destino non sarà dissimile.

Un’esperienza Erasmus è fatta anche di esplorazione, divertimento, confronto. Com’è l’Atene del rischio crack finanziario? Vivendo tutti i giorni la città, che percezione avete dei sentimenti dei greci verso la crisi?

Brenno:  La prima cosa che ho notato è che in Grecia non c’è quella cappa di plumbea depressione che pervade l’Italia. Sia ben chiaro, non è che sono ottimisti per il futuro. Però riescono a vivere quotidianamente con una dose di un qualcosa che non saprei se definire leggerezza o rassegnazione. Probabilmente tutte e due assieme, dato che mi hanno spiegato come quest’anno gli scontri siano stati assai meno intensi degli anni passati, con in più la convinzione che bene o male la sfangheranno perché l’Europa non può farli defaultare. Ritengono poi che noi italiani dovremmo avere più considerazione per loro situazione, ritenendoci gli immediati successori nella lista (a mio parere erroneamente, aggiungerei). La situazione economica non ha comunque  mutato profondamente lo stile di vita rilassato dei greci, i caffè ed i ristoranti sono sempre pieni, anche se negli ultimi tre anni i prezzi delle consumazioni si sono ridotti di un terzo.

Francesco: Atene del crack finanziario è una città che giorno dopo giorno si abbandona sempre più a se’ stessa. Sebbene la città sia stata quasi del tutto “tirata a lucido” e rinnovata per le Olimpiadi del 2004, oggi sembra più Palermo che la Capitale di un paese europeo. È vero che ci sono attività in gran numero e in ogni dove, ma bisognerebbe esser ciechi per non vedere anche tutte le insegne “vendesi” e “affittasi” che tappezzano mura, vetrine e veicoli. Molti dei palazzi di inizio novecento – il volto elegante della città – sono in condizione di degrado o talvolta abbandonati. Un breve aneddoto: ho fatto un giro nella zona dell’Università (Panepistimio) e del Museo Archeologico con un ragazzo greco; non ci sono parole per descrivere la sua rabbia e la sua indignazione nel mostrarmi il più vecchio cinema della Grecia distrutto, incendiato dagli anarchici e i marmi della Biblioteca Nazionale, della Kapodistria e dell’Accademia di Ricerca imbrattati da scritte di ogni genere.  Tutto ciò, come mi diceva, non ha alcun senso: perché distruggere il proprio patrimonio, la propria identità, in un momento come questo? La sera poi non è poca la gente che fruga nei cassonetti. Qui la raccolta differenziata non va molto di moda, ma diciamo che c’è chi svolge una “funzione sociale utile e simile” ripulendo i cassonetti ogni sera di tutto quello che è recuperabile.

Ad ogni modo, come ho già detto, l’impressione che ho è che assieme alla rabbia ci sia molta rassegnazione. Negli occhi dei greci c’è solo il buio. Non sanno che fine faranno, non sanno in quanto tempo, ma sanno solo che la loro situazione non migliorerà.

(continua)


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