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“L’erba dei vicini” di Beppe Severgnini: apologia analogica della banalità, cui prodest?

Creato il 09 novembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Germany_mapdi Rina Brundu. “Magari io sono noioso…” ha detto il bravo Beppe Severgnini commentanto il suo lungo prologo (manco il Riccardo III shakesperiano avrebbe osato tanto!) durante la prima puntata de “L’erba dei vicini” (Rai3), dedicato all’eterna partita Germania-Italia. Magari… Sarà. Mentre ascoltavo tale esondazione oratoria a me però tornava in mente Oriana Fallaci che diceva “Vi sono momenti nella vita in cui tacere diventa  una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre”; e più il tempo passava più mi convincevo che il programma di Severgnini, nonché l’argomento trattato, non era… uno di quei… “momenti”.

Cui prodest dunque? E a chi giova un simil programma pseudo-didattico condito di banalità assolutamente imbarazzanti in questa nostra epoca veloce e digitale che a livello televisivo, e di servizio televisivo (ma non solo), dovrebbe vivere di ben altro know-how e di ben altre argomentazioni? Perché cullare questa sindrome da casalinga di Voghera assolutamente incapace di cambiare?  “L’erba dei vicini” – condotta tra l’altro da un bravo professionista e da una brava persona come è certamente Severgnini – è esempio lampante, plastico, del perché un cambiamento culturale italiano è lungi dal venire: prima di riuscire a vedere in tv qualcosa di diverso (dalle gambe delle Kessler, dagli stereotipi mentali dell’italietta emigrata decine di anni fa, dagli innumerevoli falsi miti teutonici, etc etc etc), occorrerà attendere rassegnati il definitivo pensionamento (ci sarà mai?) della classe di professionisti (a qualsiasi titolo) analogici che continuano a coccolare simili leggende metropolitane nate al tempo dei loro giorni più verdi ma oggi pesantemente noiose (appunto!).

To cut the long story short, dopo un’oretta ho cambiato canale ma ho ancora nelle orecchie l’eco di cotanto forbito eloquio ed è altrettanto fastidioso del suono originale. Sic.


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