Jury Livorati è nato a Viadana (MN) il 21/11/1985 e risiede a Cicognara (MN). Sposato e con due figli, si è laureato nel 2009 in Biologia Molecolare presso l’Università degli Studi di Parma. Dopo un’esperienza di circa due anni come addetto vendite in un supermercato di articoli di elettronica di consumo, recentemente è stato assunto come responsabile assicurazione qualità presso un’azienda di dispositivi medicali monouso. Dal 2000 è membro attivo dell’Associazione Culturale Vecchio Borgo, ex Quelli che il musical…, dedita alla realizzazione di musical in provincia di Mantova, Cremona, Parma e Reggio Emilia.
In precedenza ha pubblicato la raccolta di racconti “Paura, Paranoia, Pazzia” tramite il servizio di pubblicazione on demand Lulu.com ed il romanzo “M@rcello” con Boopen Editore. Con quest’ultimo, pur non essendo supportato da un sistema di distribuzione nelle librerie, ha venduto sinora 60 copie, grazie al passaparola ed ai social-network. Dal punto di vista della produzione scritta, ha una predilezione per il genere horror-mistery, ma si addentra in altri campi, come la narrativa (“M@rcello”), il romanzo d’amore (di prossima realizzazione) e recentemente il fantasy (“Manderley”, in fase di completamento), oltre ad aver composto svariate poesie tra il 1999 ed il 2003.
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Autore: Jury Livorati
Serie: //
Edito da: 0111 (Collana: LaBlu)
Prezzo: 16,00 €
Genere: Fantasy, mistery, adult, noir
Pagine: 260 p.
Voto:
Trama: La morte di Simona in un tragico incidente, nell’estate del 2006, sembra non avere altra spiegazione che una banale distrazione alla guida. Ma suo marito Roberto non ne è del tutto convinto. Dopo un terribile sogno e una strana telefonata, i suoi sospetti trovano un seguito. Si farà infatti viva Erika, una vecchia amica della vittima, che dichiara di essere a conoscenza di un suo importante segreto. In realtà Erika è al corrente della minima parte di una terribile verità che affonda le sue radici nel 1400, in un villaggio del modenese sconvolto dalla messa al rogo di una donna accusata di essere una strega. Grazie a un’ultima testimonianza che Simona aveva lasciato temendo proprio di essere uccisa, e che Roberto ritrova con l’aiuto di Erika, sua figlia Cristina scopre tutti i particolari di un assurdo destino, l’eredità che dal passato è arrivata fino a lei e che minaccia di distruggerla. Ma, come sua madre, anche lei sceglierà la via della ribellione.
Recensione
di Livin Derevel
Sì e no.
Partiamo dal presupposto che la trama indicata svela praticamente il succo della vicenda e, leggendola, il lettore inevitabilmente si aspetta o almeno si prefigura lo svolgimento degli eventi, seppur involontariamente.
Tralasciando questa piccola pecca che sottrae un po’ di pathos, la storia ha potenziale. Mi aspettavo di peggio, invece sono stata favorevolmente colpita da un intreccio interessante, oserei dire simpatico, forse non originalissimo ma neanche tanto banale come molti altri fantasy o pseudo-fantasy che ho letto ultimamente.
Ma L’eredità ha un difetto mastodontico: lo stile. Porca zozza, salvatemi da quest’orgia di parole altisonanti e raffazzonate che accompagnano ogni dannata pagina! Salvatemi dai continui flashback l’uno dentro l’altro che rallentano la lettura! Salvatemi dai dialoghi dalla costruzione imbarazzante che fanno cascare le braccia solo a pensarli in bocca a qualcuno che conosciamo!
Insomma, se non l’avete capito, è pomposo. Non è scritto male (il che gli ha fatto meritare una stellina di per sé), ma è prolisso, inutilmente cerimonioso, la struttura stessa delle frasi (subordinate, coordinate) è esagerata, rende caotico l’intero paragrafo con una serie di virgole in rapida sequenza, il tono con cui vengono descritte sia le azioni sia i pensieri è magniloquente, artefatto, poco credibile, rasenta il meccanico. Per non parlare di ciò che pronunciano i protagonisti: dialoghi con la medesima struttura delle frasi del narratore, roba che se qualcuno mi parlasse in quel modo gli direi di girarci meno intorno e arrivare subito al punto.
L’enfasi della storia è ammazzata da questa sorta di linguaggio arcaico con cui è steso il romanzo, le riflessioni sono scialbe, piene di ovvietà e luoghi comuni che lasciano vagamente perplessi, i personaggi sono sì ben caratterizzati, ma l’ostentazione di alcune fasi è talmente pressante che li oscura, li rende marionette che si muovono dentro una copertina non permettendo loro di sfogarsi come dovrebbero; ho letto il ripetersi di alcuni concetti (quali per esempio quanto fosse solare, stupenda e meravigliosa Simona, o di quanto fosse perfetta la famiglia prima che lei morisse) come in un loop infinito, capitolo dopo capitolo, come se premendo maggiormente su quegli aspetti stessero cercando di convincerci di quanto fosse triste quell’orribile prologo. Troppo moralismo, troppe lagne di stampo religioso che corrono il rischio di irritare.
Inoltre, qui è come se tutti avessero dei presentimenti, tutti giusti, e tutti rigorosamente negativi. Tentano di liberarsene autoconvincendosi che sia una loro impressione (e di nuovo la reiterazione del fatto che no, non può essere, che sono solo viaggi mentali, blablabla) per poi convergere nella realtà che era esattamente quella che avevano previsto. Giuro, ho pensato che l’autore si fosse divertito a distruggere così le speranze dei personaggi.
Solo verso la fine la narrazione si è un po’ risollevata, spogliandosi di tutti quegli inutili dettagli ridondanti ed entrando in un vivo vero e proprio, giusto in tempo per la risoluzione, che devo ammettere essermi piaciuta.
Il problema più grande – come già detto – è lo stile. Superficiale, composto di vocaboli magniloquenti e costruzioni delle frasi esageratamente imponenti, che puntualmente non vengono ricompensate con un’azione che ne sia valsa la pena. Se la suspense, se l’enfasi fosse stata gestita meglio, molto probabilmente anche la parte fantasy sarebbe risultata più vera, e non un po’ traballante con le sue regolette spuntate a caso prive di una vera e propria logica, e probabilmente anche i comportamenti delle donne della famiglia sarebbero apparsi più ponderati e non solo degli espedienti per arrivare alla fine, facendole anche passare un po’ per stupidotte.
L’idea di base c’è, e non è male. Ma lo stile la uccide.
N.B.: La tecnica del coito interrotto è scientificamente confutata come pressoché inutile per non rimanere gravide. Io a diciannove anni lo sapevo, cara la mia Cristina.