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Tema complesso e universale quello relativo alle caratteristiche dell’eroe tragico nella letteratura greca; un tema che ha attraversato tutto il pensiero dell’uomo occidentale fino ad oggi; quindi anche di sorprendente modernità. Nato in contemporanea con la tragedia greca nel V sec. A.c. nell’acme dell’Atene democratica dello statista Pericle, getta le fondamenta della nostra cultura e viene ripreso in tutti i tempi, specie nel sette/ottocento. La nascita dell’eroe tragico rappresenta una svolta epocale nel pensiero greco e segna il passaggio dalla civiltà della vergogna (Omero) a quella della colpa e responsabilità (tragedia). Un abisso di pensiero divide l’eroe epico da quello tragico. Quello epico è forte e compatto e tutt’uno col divino da cui non si distingue, potremmo dire che è un semi-dio; non ha consapevolezza di sé né del suo corpo come integrazione delle parti, ma anzi si individua rispetto a parti singole del corpo che lo caratterizzano; sicché Achille è piè veloce, l’Aurora è dalla dita rosate, le fanciulle sono dai lunghi pepli e così via. Esistono quindi delle formule fisse che caratterizzano i personaggi epici; la fissità delle formule riflette la staticità dell’eroe che non è dinamico perché di norma non è attraversato da conflitti e non ha evoluzione interiore, ma aderisce convenzionalmente alle leggi della società che coincidono con quelle degli dei. Quando si trova davanti ad un bivio (es. Ettore), prevale la convenzione, ed Ettore va incontro a certa mor Continua a leggere