L’altro giorno, nel senso di ieri, sono uscita boccheggiando sotto un sole bellissimo e violento alla ricerca di una confezione di feta greca e dell’ultimo numero di Linus. Erano giorni che lo chiedevo ad ogni giornalaio veneziano, avendo cura di trovarne di volta in volta uno differente onde evitare di essere scambiata per maniaca ossessivo compulsiva. Il fatto è che su Linus di giugno è stato pubblicato un mio racconto inedito intitolato “L’esatto mezzo della pancia”, dove parlo di una cosa che sembra già antica anche se esiste ancora, ovvero i callcenter. A introdurlo c’è una bellissima premessa di Alberto Garlini.
Quanto segue ne è un estratto.
“Oggi mi sono alzata dal letto, ho aperto la porta di camera, fuori dalla camera c’erano foto di donne nude e una vasta raccolta in cd de La musica di Dio. Ho aperto la finestra del terrazzo e inspirato tutta la salsa di soia che il take-away thailandese sotto casa aveva da offrire. Tutto intorno al terrazzo c’era Venezia Mestre, che forse sarebbe più appropriato chiamare Mestre e basta. Oggi mi sono alzata dal letto e fuori dal letto c’era il mio primo giorno di lavoro.
Il lavoro di callcenter è una cosa che ti fa sentire un giovane del tuo tempo. Qualche anno fa ha avuto un momento di breve ma intensa esposizione mediatica, attorno gli si è creata un’aura da Vietnam tale per cui se vi lavoravi eri un guerriero. Il lavoro di callcenter in quanto argomento di conversazione è in seguito caduto in disuso, mentre in quanto lavoro-lavoro esiste ancora, così tu puoi andarci in santa pace e alle medesime condizioni, senza che nessuno faccia dell’opinionismo sulle cose private dei co.co.pro.
Il mio specifico è a suo modo un posto accogliente. Si trova in una zona industriale a quaranta minuti di autobus da Mestre e basta. Una volta giunti alla fermata, la via più rapida per arrivarci è attraversare la pancia di un centro commerciale, fermarsi a prendere il caffè da una signora che sta in un chiosco nell’esatto mezzo della pancia, attraversare il parcheggio fuoristante il centro commerciale e suonare il campanello tre volte, così sanno che sei della famiglia e ti aprono. Il parcheggio fuoristante il centro commerciale ha la caratteristica di essere in modo perenne esalante vapori di catrame versato da operai a petto nudo.
Per accedere al lavoro di callcenter bisogna partecipare ad una formazione non retribuita. I miei superiori prossimi venturi sono Team Leader Uno, Team Leader Due, Team Leader Tre e la Psicologa.
Team Leader Uno è il poliziotto cattivo. Segnata da una adolescenza fatta di emarginazione e angherie, dopo avere aspettato per anni il momento migliore per avere il suo riscatto, ha intuito che quel momento era la crisi economica mondiale. Team Leader Due è il poliziotto buono, once upon a time frequentava i centri sociali occupati e da grande voleva fare l’alternativa, attualmente si accontenta di attendere la fine del turno per spaccarsi di canne sul divano con il fidanzato finanziere. Team Leader Tre è il ragazzo con la camicia pulita e i capelli in ordine che le mamme vorrebbero come genero. Come spesso accade in questi casi, sotto alla camicia pulita nasconde praterie di tatuaggi e nel passato una prima giovinezza da metallaro. La Psicologa, in quanto tale, è la persona che si occupa delle risorse umane nella loro fase di entrata. (…)”