Tirana: il viale principale con i volti dei 40 martiri cattolici
Intervista all’arcivescovo di Tiranë-Durrës alla vigilia del viaggio di Papa Francescodi Gaetano Vallini
«Un gesto di grande incoraggiamento per il nostro popolo. È vero, l’Albania bussa alle porte dell’Unione Europea e gli albanesi, specialmente i giovani, si sentono profondamente europei, ma nella corsa per entrare nell’Unione non bisogna trascurare le ferite profonde che hanno lasciato sul corpo della nazione gli anni della dittatura comunista e quelli recenti della transizione. La Chiesa cattolica si è occupata e si occupa con dedizione di queste ferite, ma è piccola e debole a causa della lunga ed indicibile persecuzione, per questo ha bisogno dell’attenzione del Papa». Monsignor Rrok Mirdita, arcivescovo di Tiranë-Durrës, spiega così il significato della visita che domani, domenica 21, Papa Francesco compirà in Albania, la prima in un Paese europeo. «Credo che la sofferenza e le aspirazioni della nostra gente — aggiunge il presule — siano alla base della decisione del Santo Padre di visitare il nostro Paese. Egli stesso ha menzionato in vari pronunciamenti la sofferenza del popolo albanese, la persecuzione religiosa sotto il regime ateo e la pacifica convivenza tra i vari gruppi religiosi».Che cosa ci si aspetta, dunque, da questa visita?La nostra gente vede Papa Francesco come una guida morale autorevolissima. Tutti ammirano la sua semplicità e coerenza, la capacità di parlare direttamente al cuore delle persone, la fermezza con la quale denuncia i mali del mondo di oggi, soprattutto il male della corruzione, che qui è un punto molto sensibile, la sua chiara presa di posizione dalla parte dei poveri, che sono maggioranza in terra albanese. La società civile si aspetta parole di incoraggiamento da parte del Papa, l’incisività delle sue raccomandazioni per i responsabili della vita politica, ma anche maggiore attenzione da parte comunità internazionale verso l’Albania, Paese uscito da una delle più feroci dittature d’Europa e che ha bisogno di aiuto. Tutti aspettano che l’incontro con Papa Francesco riaccenda la speranza.Papa Francesco vedrà un’Albania diversa da quella visitata da Giovanni Paolo II nel 1993. Che Paese troverà?Un Paese che cerca di recuperare il tempo perduto. Papa Wojtyła venne all’alba della libertà e ci parlò in maniera profetica delle sfide del cammino che ci attendeva. Usando un’immagine biblica, potremmo dire che Giovanni Paolo ii venne quando eravamo appena usciti dall’Egitto e ci indicò la strada. Francesco ci raggiunge nel faticoso cammino attraverso il deserto. In questo cammino abbiamo smarrito la strada varie volte, soprattutto a livello politico e, di conseguenza, anche sociale. Penso al difficile 1997, ma anche all’emigrazione massiccia, al debole sistema di giustizia, ai servizi sanitari scadenti, alla povertà, alla disoccupazione. Dunque, Francesco troverà un Paese che vuole uscire dalla lunga transizione e ha bisogno di essere incoraggiato e orientato.
Il logo della visita con il motto "Insieme con Dioverso la speranza che non delude"
Giovanni Paolo ii venne a ricostituire una Chiesa devastata dalla persecuzione e segnata dal martirio. Quale Chiesa incontrerà 21 anni dopo il Papa?Ad attendere Giovanni Paolo II, con il popolo di Dio e i missionari arrivati da diversi Paesi per aiutare la rinascita della Chiesa, c’erano i sacerdoti, i religiosi e le religiose che avevano conosciuto la dura persecuzione. Di quella generazione di religiosi sono rimasti solo due sacerdoti e poche religiose. Ad attendere Papa Francesco, invece, insieme al popolo di Dio e ai missionari, ci saranno i nuovi sacerdoti, i religiosi e le religiose consacrate in questi due decenni, ma anche una nuova generazione di cristiani. La Chiesa sta cercando di realizzare due cose. Prima di tutto deve organizzarsi al suo interno come popolo di Dio, attingendo alle fonti della rivelazione cristiana, a partire dall’ascolto del Vangelo. La comunità dei battezzati, riunita intorno all’Eucaristia, guidata da pastori profondamente obbedienti e legati all’eterno Pastore, deve ritrovare la propria identità. Ormai abbiamo delle diocesi, parrocchie e movimenti laicali vivaci, ambiti nei quali la vita cristiana scorre con un ritmi regolari, senza, però, cadere nella monotonia. In secondo luogo, la Chiesa deve trovare il suo ruolo nella società post comunista. Questo ruolo è chiaro e inequivocabile: l’annuncio della gioia del Vangelo. Le nostre comunità cristiane devono saper testimoniare Cristo con coraggio e coerenza. Il contesto albanese è multireligioso, secolare, e questo pone la Chiesa di fronte alla necessità del dialogo. Non si può dialogare in maniera fruttuosa senza una identità propria e senza portare un contributo alla parte dialogante. Il contributo migliore che può dare la Chiesa in questo dialogo è l’annuncio di Cristo, che, se fatto con rispetto ed umiltà, certamente non offende nessuno. All’interno della società albanese, la Chiesa è presente nel campo dell’istruzione, dei servizi sanitari, della promozione della donna e della carità. Dunque, Papa Francesco troverà una Chiesa dinamica, ma anche bisognosa di attenzione e di aiuto.In un Paese a maggioranza musulmana, quali aspettative ha la Chiesa per questa visita e quali sono le parole chiave sulle quali verterà?Sì, è vero, la comunità musulmana è la più grande comunità religiosa nel Paese, ma la libertà di culto, che è reale, finalmente, crea un clima in cui nessuna confessione si sente minoranza. I cristiani (cattolici, ortodossi e protestanti) sono cittadini di un Paese aconfessionale, come lo sono i musulmani e i non credenti. Le sofferenze dei cristiani sotto il lungo dominio ottomano e la repressione comunista hanno lasciato il segno profondo della discriminazione storica, la cui ombra pesa sulla memoria collettiva, ma siamo sulla buona strada della liberazione dal complesso minoritario. L’unica aspettativa che ha la Chiesa da questa visita è quella di essere confermata nella fede, perché possa contare sull’appoggio del Papa. Le parole chiavi sulle quali verterà questa visita saranno: rispetto, fiducia reciproca, convivenza fraterna, coraggio. Alla Chiesa gli albanesi riconoscono non solo di non essere mai scesa a compromessi con il regime, ma anche di aver combattuto con più forza di altri il materialismo. Qual è oggi il compito principale della Chiesa?Guidare le persone verso una più profonda comprensione dell’uomo, del valore della vita, dell’importanza della solidarietà. La gente oggi cerca una vita più dignitosa e un maggiore benessere materiale e la Chiesa deve saper camminare al loro fianco, per condividere le fatiche di questo cammino, ma anche per indicare i percorsi giusti. Deve essere onesta, per educare all’onestà; misericordiosa, per educare al perdono e alla riconciliazione; fiduciosa, per educare alla speranza. In Albania c’è ancora tanta povertà e la povertà è l’amaro frutto dell’ingiustizia. La Chiesa deve prendersi cura dei poveri, ma anche educare le persone benestanti alla carità e alla giustizia. Detto in parole semplici: la Chiesa deve stare con il Vangelo in mano, perché nelle pagine del Vangelo trova tutte le persone che incontra nella società, e Gesù, là, in mezzo a tutti, maestro e salvatore.La persecuzione ha rafforzato la comunione tra le diverse religioni. Il Papa ha espresso apprezzamento per il dialogo esistente, che ha avuto riscontro anche a livello politico. Quanto è stato faticoso raggiungere questo traguardo?La convivenza religiosa si è presentata come necessità assoluta per il successo della causa nazionale prima dell’indipendenza dall’impero ottomano e per la costruzione dello stato albanese dopo la proclamazione dell’indipendenza, nel 1912. L’élite cattolica, ortodossa e musulmana ha aiutato il popolo ad accettare le differenze religiose come una ricchezza e a fondare l’unità e la pace sociale sulla stessa identità nazionale, sulla stessa lingua e sulla comune vocazione europea. Certamente, ci sono state difficoltà e grandi sacrifici nel corso della storia, ma il nostro popolo non cova rancore per le sofferenze subite nel passato a causa delle violenze per motivi religiosi, perché è ben cosciente che i motivi veri di tali violenze erano prettamente politici e la religione era solo un pretesto. Dalla fondazione dello stato moderno albanese, con tutte le guerre e i conflitti che si sono susseguiti, mai la religione è stata motivo di scontro fra gruppi o individui. La persecuzione ha rafforzato la comunione tra le diverse religioni, ma ha anche indebolito il senso religioso, preparando la strada alla secolarizzazione. Il riscontro a livello politico di questa convivenza, a cui fa riferimento il Papa, ha il suo valore importante, perché la presenza di persone appartenenti a varie confessioni religiose fra i responsabili della vita pubblica aiuta il mantenimento degli equilibri sociali. Tuttavia bisogna precisare che l’appartenenza religiosa dei membri del governo o del parlamento non è stata mai considerata come un criterio esplicito per la loro scelta. Dunque, le cariche di Stato non rappresentano le comunità religiose, per non intaccare la laicità delle istituzioni statali.Ritiene esportabile il modello politico albanese?È difficile dire quale sia il modello politico albanese, perché questi ventitré anni di libertà sono serviti come scuola di democrazia e i nostri politici sono ancora studenti in questa materia. A volte superano bene gli esami e spesso vengono bocciati. Se per modello politico da esportare intendiamo il rapporto della politica con la religione nei Paesi multireligiosi, direi che sì, l’Albania potrebbe rappresentare un buon esempio.(©L'Osservatore Romano – 21 settembre 2014)