"Mi hai dato due incarichi. 1) Non telefonarti. 2) Non vederti. Adesso sono un uomo occupato. C’è anche un terzo incarico: non pensare a te. Ma tu non me l’hai affidato. Tu stessa talvolta mi chiedi: – Mi ami? Allora so che è il momento del controllo dei posti. Rispondo con la diligenza del soldato del genio, che conosce male il regolamento della guarnigione: – Posto numero tre, ma non lo so di preciso, il posto di guardia è vicino al telefono e sulle vie dalla Gedächtniskirche fino ai ponti sulla Yorckstrasse, non oltre. Consegne: amare, non incontrarsi, non scrivere lettere. E ricordare " (da: Viktor Šklovskij, Zoo o lettere non d'amore)
Dopo la rivoluzione, Šklovskij si esilia a Berlino, come Nabokov, solo che al contrario di quest'ultimo, che non tornò mai più, Šklovskij già nel 1920 chiede di poter tornare. In quest'esilio, scrive "Zoo, o lettere non d'amore", un romanzo epistolare che si svolge sulle lettere che scrive ad Elsa Triolet (la quale, più tardi, a Parigi, si sposerà con Louis Aragon). Gli affetti del presente, così, si mescolano alle affinità del passato, la rilettura degli antichi libri con le lettere ad "Alya" che proibendo al narratore di scrivere sull'amore fa sì che egli elabori un procedimento in grado di rivelare e nascondere, nello stesso gesto, un tale amore. Il libro diventa una guida alla città, che il narratore percorre, cercando - senza mai trovare - la città natale e la donna che ama.
La lingua usata assume così la logica del linguaggio totalitario che richiede, a sua volta, una lettura paranoica fra le righe che deve avvenire separando termini, confrontandoli, dissezionandoli, traducendo espressioni temporali e geografiche altrimenti inaccessibili.
Simile alla "lingua fascista", come è stata delineata da Roland Barthes, che non impedisce ma piuttosto obbliga a dire (altro, in questo caso), mettendo insieme i vari - anch'essi "barthesiani" - "frammenti di un discorso amoroso" [immagini del passato ("figure") poste all'interno di una configurazione artificiale ("ordine") e rivitalizzate, attuando una deviazione, per mezzo di un procedimento di nascondere/mostrare ("riferimenti")] in una sorta via di mezzo fra l'autobiografia, il commento e la denuncia politica; il tutto a partire dal divieto di partenza di accedere al vero e proprio "discorso amoroso".
Il procedimento messo a punto da Šklovskij consiste nel far sì che dai suoi commenti alla letteratura traspaiano, fra le righe, considerazioni a proposito delle due assenze, che finiscono per mescolarsi: la donna e la Russia. Non poter parlare d'amore equivale a non poter vivere in Russia.
C'è un testo di Foucault, in uno dei suoi ultimi seminari sul "Governo di sé e degli altri", che parla dello scambio di lettere, dell'epistolografia, vista come una tappa nella costruzione delle comunità in transito ed in esilio. Partendo dalle lettere di Platone sulla relazione tra filosofia e politica - alcune autentiche, altre apocrife - Foucault interroga un Platone che si trova, in un certo qual modo, perso nel tempo e nello spazio (come Šklovskij), ponendogli delle domande, senza che si aspetti delle risposte. Ma solamente tracce di risposta. Le lettere come mezzo per dar conto della propria vita e del proprio viaggiare. Si scrivono lettere perché si viaggia.