di Michele Marsonet. Il 26° vertice dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) a Pechino rappresenta senza dubbio un difficile banco di prova per Barack Obama. Si trovano infatti di fronte, da un lato, un Presidente USA che più “anatra zoppa” di così non potrebbe essere visti i pessimi risultati delle elezioni di midterm. E, dall’altro, il suo omologo cinese Xi Jinping che appare sempre più sicuro di sé, padrone dell’apparato del partito e circondato da un gruppo assai compatto. Nemmeno la seria rivolta di Hong Kong è riuscita a metterlo in crisi.
Un forte squilibrio dunque, accentuato dal fatto che la Repubblica Popolare è ormai considerata da tutti come seconda superpotenza mondiale. Per ora dietro gli Stati Uniti, domani non si sa. Le carte che i due Presidenti possono giocare sono ben diverse. Obama è stato sommerso dalla grande vittoria repubblicana in Senato e Camera dei rappresentanti. Xi sta procedendo a tutta forza – e senza apparenti ostacoli – a un rinnovamento del suo Paese, cercando di introdurre più trasparenza senza però allentare (memore di Gorbaciov) il controllo del partito comunista su ogni aspetto della vita politica e sociale.
Vi è inoltre una forte differenza tra la conduzione della politica estera delle due nazioni. Indecisa e ondivaga quella americana, con forze armate e servizi segreti in allarme a causa della mancanza di una strategia globale con obiettivi chiari e precisi da perseguire. Vengono annunciati, ma l’amministrazione USA è incerta sul come realizzarli.
D’altro canto la Cina, dopo aver assorbito l’idea di essere diventata una grande potenza a tutto tondo, in competizione con altre (soprattutto gli USA) che cercano di contenere la sua espansione, ha adottato un approccio molto pragmatico nello scenario internazionale. Con l’eccezione dell’atteggiamento verso le nazioni che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale o che sono comunque vicine alle sue coste. In questo contesto è chiarissimo fino a che punto Pechino consideri strategico per i propri interessi l’enorme tratto di acque del Pacifico che attorniano i suoi confini, e ha dato in più occasioni l’impressione di non temere lo scontro armato qualora fosse necessario (dal punto di vista cinese, ovviamente).
Nel resto del mondo, invece, la RPC sta cercando di avviare un dialogo fruttuoso con alcuni Paesi ritenuti importanti con l’intento, in tempi brevi, di allargare la sua già notevole influenza a livello politico, economico, commerciale e pure culturale. Ha insomma individuato una serie di potenziali partner strategici con i quali stabilire alleanze flessibili, basate su relazioni stabili e sulla “comprensione reciproca”. Il proposito non è firmare trattati formali, ribadendo piuttosto l’opportunità di concordare linee d’azione comuni dopo aver constatato che in certi settori gli interessi cinesi e quelli della nazione prescelta non sono in conflitto. Valga per tutti il caso della Corea del Sud, che pure ha stretti rapporti di alleanza con gli Stati Uniti. La Cina sta da tempo cercando un rafforzamento delle relazioni con Seul basandosi anche sul fatto di essere l’unica conservare una un po’ d’influenza a Pyongyang.
A fronte di tale situazione Obama ha in mente una strategia di contenimento, ma essa si è finora basata su singoli episodi come quello dei B-52 inviati a sorvolare le isole Senkaku/Diaoyu. E non è chiaro cosa possa offrire ai cinesi in cambio di un allentamento della tensione, avendo come già detto le mani legate dalla sconfitta elettorale.
Agli americani interessa soprattutto impedire una saldatura tra la RPC e la Federazione Russa che, pur entro certi limiti, è già in atto. Tuttavia anche Putin, ottimo giocatore, ha buone carte in mano, possedendo immense risorse energetiche cui Pechino è per ovvi motivi interessata. E l’atteggiamento prudente e velatamente filo-russo circa il caso ucraino lo dimostra con chiarezza. Il summit dell’Apec fornisce l’occasione per appurare se, e fino a che punto, il Presidente USA è ancora in grado di condurre un’azione incisiva. Fermo restando che la competizione cinese sul piano globale è ormai un dato di fatto e non una mera ipotesi teorica.
Featured image, Obama meeting with Israeli President Shimon Peres, 2009