L'esplorazione del Titanic

Da Alice
Titanic è stato un film che ha profondamente segnato la mia infanzia, avevo solo otto anni, ma al cinema rimasi estasiata e appena fu possibile comprai la videocassetta. Al di là della meravigliosa (ma purtroppo storicamente mai esistita) storia d'amore fra Jack e Rose, rimasi affascinata dall'intera vicenda e dal fatto che il Titanic si trovasse ancora sul fondo dell'oceano. Se solo sapessi nuotare e non avessi così paura dell'acqua, credo che mi specializzerei nell'archeologia subacquea. Girando per i miei siti preferiti ho scovato questo articolo di National Geographic, con il resoconto, raccontato in prima persona, delle immersioni esplorative compiute da James Cameron (regista di Titanic ed esploratore) all'interno del relitto del transatlantico. In questi anni, le nuove tecnologie gli hanno permesso di documentare e fotografare il 65% dell'intera nave. Riporto di seguito un estratto dell'articolo, non lo metto per intero perchè è lungo e poi non vorrei violare i vari diritti d'autore.
Tutto ciò che vediamo è sorprendente, e le sorprese si susseguono. Nel salone da pranzo e nei saloni di prima classe troviamo ancora intatte le alte vetrate artistiche. Sulle pareti e sulle colonne ci sono i rivestimenti di mogano intagliati a mano e in alcuni pannelli è ancora visibile il colore bianco delle decorazioni originali. Ci sono lampadari di cristallo e nelle cabine di prima classe. I letti d’ottone sono in un ottimo stato di conservazione. Raffinate volute di ferro battuto circondano il profondo pozzo dell’ascensore. Quando poso lo sguardo per la prima volta sul pulsante d’ottone intatto ho l’impressione di poter allungare la mano e pigiarlo, quasi aspettandomi di vedere arrivare un ascensore fantasma. Il Titanic è affondato durante il viaggio d’inaugurazione, prima che gli interni fossero fotografati, quindi la maggior parte delle immagini d’archivio usate come riferimento per i set del film riguardava l’Olympic, la nave gemella. Solo adesso capiamo com’era davvero il Titanic. Adesso so quali scene del film erano fedeli alla realtà e quali no.  Le emozioni più grandi scaturiscono dai reperti che evocano le storie di coloro che li ebbero tra le mani. Nella cabina di Henry Harper sul ponte D, in ciò che rimane dell’armadio c’è ancora la bombetta, così come l’ha lasciata. Sul lavabo della cabina di Edith Russel sul ponte A, lo specchio luccica ancora. Sembra impossibile, ma sul lavabo di un’altra cabina ci sono una brocca di vetro e un bicchiere con dentro dell’acqua. Se fosse stato vuoto, sarebbe stato portato via dai flutti che inondarono la stanza e sarebbe scomparso. Ma qualcuno bevve un sorso e lo posò mezzo pieno lì dove lo vediamo oggi.  Nella sala radio insonorizzata rimangono le attrezzature radio con gli interruttori nella stessa posizione in cui li lasciarono i giovani marconisti Harold Bride e Jonathan Phillips. Abbiamo così la conferma che prima di abbandonare la postazione perché l’acqua aveva raggiunto il ponte esterno i due staccarono la corrente. Fotografiamo persino il trasformatore che avevano riparato giusto la sera prima del naufragio. Infrangendo il protocollo, i due, patiti di tecnologia, riuscirono a far funzionare di nuovo la radio, un gesto che forse salvò 712 vite umane perché in caso contrario la nave di salvataggio Carpathia avrebbe potuto non ricevere il loro storico SOS. Catturare queste immagini preziose è stato come trovarsi faccia a faccia con la storia. [...] Dopo 33 immersioni della durata media di 14 ore ciascuna, ho trascorso su quella nave più tempo di quanto non abbia fatto il comandante Smith in persona. I ricordi più forti legati a tutte queste missioni sono le passeggiate che, come fossi un fantasma o stessi vivendo un’esperienza extracorporea, ho compiuto tra i corridoi e le scale del Titanic grazie al mio avatar ROV. Il relitto sembra riposare in una sorta di limbo spettrale, non appartiene più al nostro mondo e al tempo stesso non ne è scomparso del tutto. I rusticles hanno trasformato l’elegante transatlantico d’epoca edoardiana in una caverna fantasmagorica, un regno sommerso e surreale governato dalla stessa logica che regola i sogni. Ma nonostante l’assoluta estraneità del luogo, durante quelle esplorazioni ho provato il brivido del déja vu. In seguito alle lunghe settimane passate sul set cinematografico ricostruito fedelmente, mi è capitato di girare dietro un angolo sul relitto e sapere già, prima ancora che la videocamera del robot lo inquadrasse, cosa avrei trovato. Una sensazione strana, ma tutt’altro che sgradevole: in qualche modo mi sentivo a casa. 


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