Le industrie italiane illustrate (marzo 1918)
L’articolo in questione ha come sottotitolo “ Verso la creazione di uno stile Italiano nelle industrie metallurgiche e meccaniche”.
Berlam parte con l’affermazione che quando si produce un oggetto questo deve essere buono e bello e, se è relativamente chiaro il concetto di buono, che riassume qualità quali rendimento, economia, praticità e rapida esecuzione, sul concetto di bello le cose si complicano. L’autore sottolinea il fatto che per oggetti che non abbiano la mera funzione ornamentale ( quali: soprammobili, vasi e via dicendo) Il pubblico è attento alla funzionalità, mentre poco si interessa della bellezza. Deve essere quindi, compito del tecnico occuparsi dell’estetica “ perché anche questa rappresenta un elemento di perfetto godimento”.
Berlam argomenta questa affermazione prendendo come esempio la casa: la sua funzione primaria è quella di protezione contro le inclemenze del tempo, i malviventi e i pericoli del mondo, poi le si richiede la comodità dei vari ambienti e in ultimo, che l’aspetto interno ed esterno sia tale da rallegrare e dare un senso di piacere a chi è dentro e a chi è all’fuori dall’edificio. Ed ècco quindi fin da tempi antichissimi l’architettura: arte e scienza insieme.
“Per far sì che i prodotti dell’edilizia riuscissero belli, si stabilirono minute regole di proporzione, desunte empiricamente dagli esempi meglio riusciti si chiese la collaborazione delle arti sorelle : pittura e scultura.(…) L’arte di arredare, poi , le abitazioni seguiva di pari passo l’architettura e ne seguiva di pari passo le vicissitudini.
Quand’ecco presentarsi in lizza una nuova creatura senza storia, senza tradizione, eppure recante in sé i germi di un predominio assoluto dell’attività umana. Questo organismo senza antenati nobili ( i suoi padri erano addirittura miserabili) è la MACCHINA potente collaboratrice dell’uomo in ogni sua impresa di pace e di guerra, colei che sostituisce gli schiavi nei lavori, il cavallo nei viaggi, il bue sui campi, l’elefante nelle battaglie. Ormai la macchina fa tutto per l’uomo e l’uomo vive per la macchina.“
“E,come molti adolescenti cresciuti troppo in fretta, le macchine erano assai brutte. Vi furono poeti che le cantarono e ne erano ben degne per ciò che dovevano diventare tra breve, ma non perciò che erano allora. Non si può immaginare nulla di più goffo di più tremolante di più sgangherato che quelle prime macchine a vapore fisse o quella prima locomotiva dello Stephenson, che si conserva ancora in Inghilterra come un fossile dell’epoca preistorica. (…) Ormai da qualche decennio le macchine ed i vari pezzi metallici dovuti all’industria metallurgica hanno una loro bellezza, che pure non essendo
E’ una bellezza quasi paragonabile a quella dei prodotti naturali che – mentre corrispondono con tanta precisione al loro scopo- mai offendono l’occhio con brutte linee, con squilibri, con disarmonie di colori.
Anzi è da ritenersi che da un intelligente esame dell’anatomia strutturale di organismi vegetali ed animali, l’ingegnere ricaverebbe utilissime ispirazioni per i suoi lavori : per esempio, quale serbatoio isoante è più perfetto della noce di cocco? Quale sostegno elastico è più ben fatto che lo stelo dell’avena? Quale istrumento ottico può paragonarsi all’occhio degli animali?“
Seguono poi una serie di regole a cui attenersi per la produzione di macchine con un certo valore estetico: Scelta adeguata del materiale, simmetria, armonia di linee curve e rette, colori discreti quali grigio, bruno e nero (assolutamente da bandire rossi e verdi!), lavorazioni accurate e la ricerca di un proprio stile.
Quindi la conclusione:
“E’ bene che anche nelle macchine si procuri di avere un tipo nazionale italiano perché ciò è indizio di maturità e di forza produttiva. Noi dobbiamo volere che all’estero , in quei paesi dove in ogni tempo si copiarono i capitelli e le altre forme della nostra architettura civile, dove i nostri antenati insegnarono tutto, dal melodramma all’indagine sperimentale scientifica,si posa ancora insegnare come una macchina possa accoppiare l’efficienza ad un genere di bellezza tutto nuovo e tutto suo.“
Penso che l’appello di Arduino Berlam sia stato ampiamente colto: le macchine, di ogni tipo, hanno sicuramente migliorato la loro estetica e un grosso contributo è venuto proprio dagli ingegneri/architetti italiani
tratta da: Macchine fantastiche di Antonio Castronuovo -stampa alternativa
Mentre leggevo quest’articolo, però, un altro ingegnere/architetto mi è balzato alla mente: Leonardo Sinisgalli fondatore della preziosa rivista “Civiltà delle macchine”. Sinisgalli, poeta e scrittore oltre che architetto, era affascinato dalle macchine. Nel 1937 pubblicò “ Ritratti di macchine” una serie di sue tavole di macchine, disegnate con squadra e compasso e affascinanti come composizioni astratte. Nel 1955 organizzò a Roma una mostra, Arte e industria, dove evidenziava la parentela tra creazioni di artisti e invenzioni di ingegneri, collocando macchine accanto a tele di Klee e Kandiskkij.
Ma Sinisgalli va oltre la mera estetica. In “Furor mathematicus” (1944) spiega che non è all’aspetto esteriore della macchina ad affascinarlo, ma il suo meccanismo, il suo cervello e
frontespizio di Furor mathematicus
ristampa del 1982 in 1000 copie
dice:
“Io non amo le macchine come Oggetti, le amo come Congegni. (…) Una ruota dentata, una vite, mi commuovono quanto un girasole. Questo Teatro di movimenti predestinati, in cui una piccola esitazione, un ritardo può cagionare un disastro, mi avvince, mi esaspera.”
Ma queste macchine, giovani ai tempi di Berlam, mature con Sinisgalli oggi, XXI secolo, sono già vecchie. Voglio lasciarvi con l’immagine di un artista, Mattia Moreni, veggente come tutti gli artisti, che ci riporta alla fine del secolo scorso, quando ormai un altro tipo di macchina, soppiantate viti e ingranaggi e raggiunta la sua maturità estetica, stava per impossessarsi del mondo.
stampante 3D al lavoro
fotografata a Faenza in occasione di Argillà 2014