Credo che il periodo più intenso che ho vissuto sia stato quello tra la fine del ’75 e l’inizio del ’76. Ma mi chiedo perché lo scrivo? Lo scrivo per ricordarlo o per convincere me stesso? Avevo all’epoca quindici anni. Forse è l’età che mi fa dire questo. Un’età davvero bella. In che senso potrebbe esserlo? Di preciso non lo so. Era il periodo in cui ero innamorato di Fabiola. Stanotte l’ho sognata. Non mi parlava. Mi riserva ancora del rancore. Credo.
Quando mi sono svegliato ho pensato chissà se durante la malattia ha pensato qualche volta a me. Morire a trent’anni. Ho pensato chissà se s’è domandato se io fossi a conoscenza del suo male incurabile. Non lo ero. E a quindici anni mai potevo credere che le cose sarebbero andate come sono andate. Così tragicamente.
Nel sogno stava a fianco di Valerio. E non mi parlava. C’era qualcosa di epico in quel silenzio. Che m’ha scosso. Non potevo fare a meno di ripensare a quegli incontri innocenti tra i vicoli del paese. Vattene, vattene, lei mi ripeteva.
Quante parole volevo dirle quella sera del gennaio del ’76. Poi mi tornano sempre a galla. Vagano come sospese nella memoria. E ora neanche nei sogni riesco a dirle. Perché lei si rifiuta di parlare con me. E ne ha tutte le ragioni. Così, da un giorno all’altro smisi di parlarle. E lei non ne ha mai saputo la ragione. Forse, avrà pensato che mi fossi innamorato di un’altra. Chissà cosa avrà pensato. Chissà se durante la malattia mi ha pensato. E così anche lei ha smesso di parlarmi. Glielo volevo spiegare. Ma lei si rifiutava di parlare con me. Almeno in sogno, mi son detto. Nemmeno in sogno. Forse avrebbe capito che attraversavo un periodo difficile. Intenso, ma difficile. Un periodo in cui le decisioni sono difficili da prendere. Un periodo in cui s’osserva la realtà a rovescio. Ma lei era chiusa nel suo ostinato silenzio. E volgeva lo sguardo dall’altro lato della strada. Una strada completamente deserta e fuori dal paese. Sì, ho pensato, era bello quell’inverno del ’76 perché tante domande sono rimaste senza risposte, e mai più le troveranno. Nell’eternità. Perché non avremo mai più occasione di parlare, mai più modo di ridere. E lei continuerà in eterno a serbarmi rancore per un’assenza che tale rimarrà per sempre.