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L’eterno paradosso di Fermi (parte II)

Creato il 04 agosto 2015 da Sabrinamasiero

L’aspetto più curioso da comprendere circa il paradosso di Fermi è che non affatto necessario viaggiare più veloce della luce per colonizzare la galassia. Ma allora la domanda di Fermi “Dove sono tutti gli altri?” diventa ancora più importante, tanto che una delle possibili risposte può spaventare: “Gli alieni non sono qui perché non esistono. Siamo l’unica specie senziente e tecnologica di tutta la galassia“.
Le conseguenze in questo caso sarebbero meravigliose e terrificanti allo stesso tempo …

La colonizzazione dello spazio

L'interno di un'a possibile arca spaziale, una Sfera di Bernal. Credit: Rick Guidice - NASA Ames Research Center

L’interno di un’a possibile arca spaziale generazionale, una Sfera di Bernal.
Un habitat simile può essere ricavato scavando l’interno di alcuni asteroidi più grandi. Una sfera di 16 km di diametro potrebbe ospitare stabilmente dai 20 ai 50 mila abitanti.
Credit: Rick Guidice – NASA Ames Research Center

Il cinema e la fantascienza televisiva hanno talmente condizionato l’immaginario collettivo fino a far credere che solo le tecnologie che consentono viaggi superluminari possono rendere possibile la colonizzazione interstellare.
Questo non è del tutto vero, per arrivare  fino alla stella più vicina nell’arco di tempo di una vita umana, mettiamo 75 anni, basterebbe viaggiare a 6 centesimi della velocità della luce, cioè ad appena 18000 chilometri al secondo.
Anche se appaiono come velocità ancora improponibili per la nostra attuale tecnologia, esse sono tecnicamente molto più facili da raggiungere nel futuro prossimo piuttosto che aspettare – forse mai – di viaggiare alla velocità della luce. Inoltre queste velocità avrebbero dalla loro i vantaggi dell’irrilevanza degli effetti relativistici e anche che le radiazioni indotte ancora non rappresenterebbero un problema insormontabile.
Certo, sarebbero dei viaggi di sola andata, un po’ come quelli dei pionieri della frontiera americana o dei coloni australiani, ma non richiederebbero le avveniristiche tecnologie di Star Trek o i sofisticati metodi di ibernazione suggeriti in Alien 1. Sarebbero delle arche spaziali, strutture artificiali ecologicamente autosufficienti capaci di sostenere una popolazione di diverse migliaia di persone, magari costruite all’interno di asteroidi o partendo dai materiali estratti da essi. I nuovi coloni sarebbero gente del tutto comune, perlopiù agricoltori, tecnici e artigiani, consapevoli che il loro sacrificio darà i suoi frutti solo ai discendenti.

Questo significa che qualsiasi civiltà con un grado di sviluppo paragonabile al nostro da qui a cento anni sarebbe in grado di colonizzare l’intera galassia nell’arco di pochi milioni di anni.
Nell’arco di poche centinaia di migliaia di anni, un battito di ciglia nell’età di una tipica galassia, una qualsiasi civiltà tecnologicamente evoluta può colonizzare interi settori di spazio con i suoi discendenti usando semplicemente arche generazionali  che consentono unicamente viaggi di sola andata.
Nel giro di diecimila anni e con un intervallo di 500 anni tra un viaggio e l’altro una qualsiasi civiltà abbastanza determinata può raggiungere almeno 100 mila stelle. Della civiltà originale a quel punto ne sopravvivrebbe forse solo il mito. Un mito delle Origini Lontane che potrebbe addirittura perdersi nell’oblio dopo i tanti passaggi necessari alla colonizzazione del cosmo; un piccolo prezzo in fondo per aver avuto il coraggio di abbracciare la Galassia.

Alcune risposte

Scala di Kardašëv

 La scala Kardashev  fu proposto per la prima nel 1964 dall’astronomo  russo Nikolai Kardashev. Essa  è un metodo per misurare il livello tecnologico di una civiltà basato sulla quantità di energia che essa è in grado di utilizzare. La scala è composta da almeno cinque livelli:
Una civiltà di tipo I utilizza tutte le risorse disponibili sul suo pianeta natale (\(4\times 10^{12}\) watt), il tipo II sfrutta tutta l’energia della sua stella (\(4\times 10^{26}\) watt), quella di tipo III della sua galassia (\(4\times 10^{37}\)  watt), mentre quella di tipo IV è in  grado di controllare l’energia di un intero superammasso di galassie (\(1\times 10^{46}\)  watt).
Il livello successivo, il tipo V, sarebbe invece capace di controllare tutta l’energia dell’universo visibile (\(1\times 10^{56}\)  watt), come Frank Tipler e  John Barrow suggeriscono con il loro Principio Antropico Ultimo.
Successivamente l’astronomo americano  Carl Sagan definì un metodo per calcolare, a partire dai tipi iniziali, anche i decimali, per mezzo della seguente formula: \(K = \frac{\log_{10}{W}-6} {10} \) nella quale K rappresenta il livello di civiltà della scala e W i watt utilizzati. Secondo questo metodo la civiltà umana sarebbe ad un livello di 0,7.

La scala è solo ipotetica, ma mette consumo di energia in una prospettiva cosmica.

Con tutte queste premesse ecco perché diventa importante la domanda di Fermi “Dove sono gli Altri?”. Ragionevoli supposizioni teoriche ci mostrano – come descritto nella prima parte – un universo brulicante di vita e, in alcuni casi, intelligente. Insieme a quanto descritto qui sopra sappiamo che le civiltà aliene abbastanza evolute e determinate possono arrivare a colonizzare buona parte della Galassia nel giro di poche centinaia di migliaia di anni; è quindi lecito immaginare che prima o poi altre razze aliene possono aver visitato e magari lasciato qualche loro manufatto a memoria del loro passaggio, magari se non sulla Terra ma comunque nel Sistema Solare.
Per la nostra scala il Sistema Solare è enorme, abbiamo imparato a studiarlo da appena 400 anni coi telescopi e da 40 con le sonde automatiche; non è certo molto ma finora di manufatti alieni come per esempio il monolite suggerito da Arthur C. Clarke nel romanzo 2001 Odissea nello spazio (probabilmente un sonda di von Neumann 2 ) non è stata trovata alcuna traccia, né qui sulla Terra e né là fuori. Questo ovviamente non esclude che la Terra sia mai stata visitata in passato o che possa esserlo in futuro, è che a tutt’ora non esistono prove per affermare che sia mai accaduto.
Le risposte allo storico quesito si sprecano: la non contemporaneità dello sviluppo delle civiltà nella nostra galassia che limiterebbe l’esistenza a pochissime civiltà – o forse nessun’altra – nello stesso periodo temporale e nel raggio di comunicazione; di conseguenza esse possono essere troppo lontane sia nel tempo che nello spazio per potersi accorgere di noi e noi di loro. Il che ci renderebbe unici, almeno in quest’angolo remoto dell’Universo, e pertanto immensamente preziosi; sarebbe un vero insulto al Creato se per qualche nostra sconsiderata miopia o per qualche irresponsabile egoismo dovessimo estinguerci, In questo istante dello spazio-tempo potremmo essere l’unico momento in cui l’Universo inizia lentamente a prendere coscienza di sé stesso!

Oppure, secondo un loro codice etico, qualsiasi civiltà interstellare ha deciso di non contattarci perché non ci ritiene abbastanza maturi per un Primo Contatto e ha deciso che noi ci si debba sviluppare in totale autonomia fino a che non saremmo pronti ad affrontare un simile evento 3. Questo però non esclude sporadiche visite per accertarsi del nostro reale livello di sviluppo o che comunque potremmo essere  noi quelli osservati di nascosto [1]. Una variante di questa linea di pensiero è che a causa della nostra – ancora – immaturità tecnologica e/o morale potremmo essere un pericolo per noi e/o gli altri casomai ci impossessassimo di tecnologie più avanzate delle nostre; le altre civiltà aliene se ne starebbero così in disparte come un adulto responsabile tiene fuori portata dei bambini di casa gli oggetti più pericolosi.

La sonda berserker di un episodio di Babylon 5

La sonda berserker di un episodio di Babylon 5

Un’altra idea non banale e che riprende un po’ l’ultimo concetto espresso, è quello che vuole che in questo momento esistano solo poche civiltà, o forse addirittura solo una, dominanti e che vedono come un potenziale pericolo qualsiasi altra civiltà abbastanza sviluppata. È nel loro interesse far sì che le altre civiltà emergenti – come la nostra – non rappresentino per loro una minaccia. In questo caso possono impedirne l’evoluzione o, se arrivate comunque ad un certo stadio di sviluppo, cancellarle. Magari queste civiltà aliene possono aver creato sonde Berserker 4 – che magari potrebbero benissimo, a patto che le si riconosca, essere scambiate per degli innocui manufatti alieni – allo scopo di testare il grado di sviluppo delle civiltà emergenti ed annientarle qualora si dimostrino un potenziale pericolo.
Costruite sullo stesso principio delle sonde di von Neumann, le Berserker avrebbero il compito di eliminare le civiltà emergenti oppure di adattare i pianeti (noi diremmo terraformazione) alla successiva ondata di colonizzazione; in fondo il risultato è lo stesso.
Comunque la storia delle sonde di von Neumamn, le Berserker o altri tipi di sonde automatiche che teoricamente sono capaci di visitare ogni angolo della galassia in pochi milioni di anni [2] sposta solo la domanda principale “Dove sono gli altri?” a “Dove sono queste sonde?“.
A parte il fatto che – come ho detto prima – probabilmente  non le sapremmo neppure riconoscere per quanto ci apparirebbero aliene, questa domanda se la pose il fisico americano Frank Tipler nel 1981, il quale giunse alla conclusione che questo genere di sonde interstellari non esisterebbero perché semplicemente non esisterebbero neanche i loro costruttori [3], sostenendo quindi in pratica l’unicità della specie umana in quest’angolo del cosmo. Carl Sagan e William Newman risposero che Tipler aveva in realtà sottovalutato il tasso di replicazione delle sonde nei suoi calcoli, e che – secondo i due scienziati – nel caso della loro esistenza, queste macchine avrebbero già dovuto iniziare a consumare la maggior parte della massa della galassia. Consapevole del pericolo quindi, una razza intelligente non progetterebbe mai simili macchine, ma che anzi si sarebbe spesa per eliminare qualsiasi tecnologia autoreplicante potesse incontrare [4]. Come spesso accade, però anche qui la verità potrebbe esistere nel mezzo: magari una civiltà che volesse davvero avvalersi delle sonde di von Neumann può benissimo programmarle con un tasso di replicazione limitato (il che comporterebbe anche una molto minore capacità di diffusione nella Galassia), programmarle per avere il massimo riguardo per ogni forma di vita, di disattivarsi in questo caso e di riprodursi solo ove questo non possa arrecare danno alla vita autoctona.

E se tutto quello ce conosciamo fosse semplicemente il frutto di un esperimento di laboratorio?

E se tutto quello ce conosciamo fosse semplicemente il frutto di un esperimento di laboratorio?

Invece un’inquietante ipotesi prende spunto dal racconto di Isaac Asimov “Coltura Microbica” 5 dove si suggerisce che l’umanità sia in realtà un esperimento genetico condotto da  altre intelligenze aliene superiori a noi quanto – noi – lo siamo ai nostri microbi. In questo caso la risposta alla domanda di Fermi è semplice: la realtà che percepiamo è in realtà un’illusione creata allo scopo di testare le nostre reazioni come fossimo cavie da laboratorio; e che se casomai arrivassimo un giorno ad un contatto alieno è perché lo hanno voluto le entità superiori che ci studiano.
Un ‘intero universo che magari è una simulazione governata da un supercomputer, come in Matrix, oppure una simulazione come quelle che Frank Tipler suggerisce, e che per molti è solo pseudoscienza, nella sua Teoria del Punto Omega 6.

Principio Antropico Forte

L’universo possiede tutte quelle proprietà (leggi fisiche) che ad un certo punto della sua storia permettono l’esistenza di osservatori  al suo interno.”

Questa teoria in pratica è un’estensione del cosiddetto Principio Antropico Forte che si spinge fino alla sua sua riformulazione in “L’universo possiede quelle proprietà (leggi fisiche) che portano allo sviluppo della vita intelligente in modo tale che essa possa poi acquisire vita eterna anche attraverso mezzi tecnologici“. Diventare eterna e onnisciente significa che prima o poi la vita acquisirà il controllo totale dell’Universo, una civiltà con un livello tecnologico spaventoso, di tipo V nella scala Kardashev che forte di tutta l’energia di cui dispone può eseguire simulazioni reali di ogni suo momento passato. Scoprire così che la risposta al Quesito di Fermi è che noi potremmo essere soltanto una simulazione è quasi altrettanto inquietante che scoprire di essere una coltura microbica.

Oppure più realisticamente siamo noi che non sappiamo cosa, come e dove ascoltare per trovare le altre civiltà aliene. Magari l’ipotesi di Giuseppe Cocconi (anche lui conobbe Enrico Fermi e ebbe l’occasione di lavorare all’Istituto di Fisica di via Panisperna) e Philip Morrison di aspettarci comunicazioni interstellari nei pressi dei 21 cm di lunghezza d’onda è sbagliata, forse ancora non abbiamo la più pallida idea di come un segnale alieno possa essere modulato, né di come i dati verrebbero codificati all’interno del segnale, né che tipo di dati aspettarci. Magari gli alieni comunicano tra loro in  modi completamente a noi sconosciuti, modulando magari fasci di neutrini o sfruttando l’entanglement quantistico. O magari semplicemente … non ci sono, o forse ci sono stati nel passato del nostro pianeta, quando ancora appariva totalmente inospitale alla vita da non ritenersi adatto, fino a che qualcuno ha pensato di usarlo come incubatrice per la sua discendenza.
Questa è la Panspermia Guidata; una teoria che ipotizza che un’antica civiltà consapevole della propria estinzione avrebbe disseminato il proprio DNA o una reingegnerizzazione di esso. La cosa curiosa è che fu proprio il Nobel Francis Crick (uno degli scopritori della struttura a doppia elica del DNA) ad avanzare per primo questa teoria nel lontano 1973,  sostenendo che il DNA è di per sé troppo complesso per essere di origine naturale. Certo che scienziati e biologi finora non sono ancora riusciti a riprodurre i passi che separano la Non-Vita dalla Vita, ma comunque – come ho scritto nella prima parte di questo articolo – il puzzle si sta pian piano componendo. Tornando all’idea di Crick che una lontana – nello spazio e nel tempo – civiltà avesse disseminato nel cosmo i mattoni della nostra esistenza è allettante e allo stesso tempo non risponde affatto al quesito principale in quanto adesso dovrebbero esserci migliaia di altre specie aliene più o meno simili a noi e all’incirca col nostro stesso grado di sviluppo tecnologico  (nella scala Kardashev) nella Galassia.

Tornando un attimo alle navi-arca, potrebbe a questo punto della discussione speculare che potremmo essere noi i discendenti di una antica colonia proveniente da un altro mondo di coloni, anch’essi provenienti da una civiltà ormai scomparsa da eoni. Gli animali che prosperano con noi potremmo averli portati appresso da qualche altro mondo; oppure no? In questo caso dovremmo trovare traccia di organismi assolutamente estranei a noi nel lontano passato del la Terra. E invece parte del nostro genoma lo si ritrova in organismi ancestrali a noi molto lontani, perfino con i dinosauri abbiamo qualcosa in comune perché entrambi discendiamo da organismi comuni più semplici.
Forse la risposta al quesito di Fermi è in una di queste risposte o forse risiede nel fattore \(L\) dell’equazione di Drake che si occupa di stabilire quanto possa esistere una civiltà tecnologicamente evoluta. Proverò a spiegare questo nella prossima parte.

(fine  seconda parte)

Note:

  1. Già oggi la tecnologia per creare un’arca generazionale non è poi molto lontana dal essere raggiunta.
  2. Una sonda di von Neumann è una ipotetica macchina autoreplicante basata sui concetti espressi da John von Neumann e Arthur Burks nel libro Theory of Self-Reproducing Automata. von Neumann non pensò queste macchine per un utilizzo di esplorazione e colonizzazione spaziale; quell’idea venne in seguito nel 1980 al fisico americano Robert A. Freitas Jr. nello studio A Self-Reproducing Interstellar Probe .
  3. La Prima Direttiva del codice etico della Federazione nell’universo di Star Trek riprende benissimo questo concetto.
  4. L’idea di queste sonde e il loro nome fu di Fred Saberhaggen, autore di fantascienza che ne scrisse la saga.
  5. Qui potete trovare la versione in lingua originale “Breeds There a Man?”
  6.  Il concetto di Punto Omega fu introdotto per primo dal gesuita paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (1881 – 1955) nelle discussioni tra scienza e religione come un riferimento al Cristo come l’obiettivo finale del processo evolutivo. La teoria del fisico e matematico Frank Tipler The Point Theory Omega, ispirata dal pensiero del gesuita, è comunque ben lontana dall’originale.  Questa teoria fu avanzata in una serie di articoli pubblicati verso la fine del 1980 e reso popolare nel 1994 nel libro La fisica dell’immortalità. Qui Tipler teorizzò che al termine dell’universo (chiuso) tutta la materia convergerà verso un infinito punto onnisciente chiamato Omega seguendo le normali leggi fisiche e le loro conseguenze; la Vita infatti è una di quelle. Anche se nell’idea del Punto Omega si scorge un figura onnisciente e onnipresente come il Dio del teismo tradizionale, questo è il frutto della convergenza di tutte le leggi fisiche, non il Dio dettato dalla fede religiosa.

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