Magazine Politica

L’euro come malattia morale

Creato il 25 maggio 2013 da Albertocapece

0-euro-thumb11139809L’idea di un’ Europa unita prese forma dopo l’inutile massacro della prima guerra mondiale più che da un desiderio di fratellanza da una considerazione economicista: se i grandi complessi industriali fossero stati di proprietà di vari Paesi, un’altra guerra continentale sarebbe stata impossibile. A questo non si è mai  arrivati, ma dopo un’altra tragedia bellica, anche peggiore della precedente, fu creato una sorta di spazio economico comune accompagnato da un abbozzo formale di unione politica rimasto sempre sulla carta e supportato da un legame succedaneo e improprio costituito dall’ideologia liberista.

In compenso, una volta scompaginato il quadro del dopoguerra, si pensò che alla proprietà comune della produzione, impossibile nel nuovo paradigma del privato e del profitto, si potesse agevolmente sostituire quella della moneta. E invece ci si è accorti troppo tardi che proprio quell’elemento portava a nuove divisioni e occasioni di conflitto, non permettendo il riequilibrio fra i Paesi, ma esaltando invece le differenze come non mai: lo strumento presupponeva infatti l’esistenza di un’unione politica e una di certa uniformità economica, ma era invece del tutto inadatto a crearla.

Dico questo perché mi incuriosisce molto lo spettacolo ormai imminente di vedere i difensori a tutti i costi dell’euro mutare avviso e sostenere di aver sempre detto che la moneta unica non funzionava. Il tenore della discussione in Germania, e in parte nel resto d’Europa, lascia chiaramente capire che da argomento tabù quello di un abbandono della valuta comune sta diventando un tema discusso ad ogni livello e in via di essere affrontato sul piano concreto. Ed è abbastanza semplice spiegarne le ragioni con alcune antinomie -finalmente emerse dalla confusione – che restano senza soluzione dentro la logica della moneta unica: il modello tedesco fondato sull’export e su una pax sociale imperniata sulla bassa inflazione, non può tollerare una messa in comune del debito, ma nemmeno la catastrofe nella periferia del continente che rimane pur sempre un mercato importante, se non il principale. Il modello tedesco non è trainante per le altre economie, anzi le deprime con i deficit commerciali resi possibili dalla moneta unica, mentre i Paesi in crisi non hanno le risorse finanziarie per poter risalire la china e nemmeno la sovranità monetaria per poter tornare competitive senza una strage di salari e precarietà che ne distruggono la domanda interna, la stabilità e anche le risorse per il futuro come la scuola.

Per questo non c’è da stupirsi se si è creato un partito anti euro che sta riscuotendo parecchio successo, se il leader storico della sinistra radicale Lafontaine è divento un convinto detrattore della moneta unica a causa della sua funzione di killer dello stato sociale e se il dibattito fra economisti, come dimostra un lungo dialogo dei massimi sistemi pubblicato qualche giorno fa sulla Frankfurter Allgemeine,  si focalizzi non tanto sul se, quanto sul come e precisamente se sia meglio che esca la Germania dal vincolo monetario o sia meglio che lo facciano i Paesi in crisi. Certo i problemi sono molti, così come le vie d’uscita tecniche ipotizzate, ma ciò che interessa principalmente ai principali soggetti produttivi e politici tedeschi è che tutto questo non finisca per distruggere l’ unione europea insieme all’euro per evidenti motivi di penetrazione commerciale.

Rimane l’ostilità del mondo finanziario e bancario che ha ovviamente paura per i suoi assets e per la posizione di preminenza e di ricatto che il dramma europeo gli ha regalato, ma la gravità e la profondità della crisi è tale che le rassicurazioni durano lo spazio di un mattino, le piccole elemosine ( i 4 milioni per la disoccupazione giovanile, generosamente concessi all’Italia) o anche un marginale  allentamento dell’austerità sono come gocce nel mare, tanto più che media e politica si guardano bene dal rivelare che flessibilità e competitività per essere efficaci implicherebbero tagli di salario reali dal 30 al 50 per cento, almeno stando al quadro prospettato dalla quasi totalità dei centri economici: un livello da delirio non potendo usare lo strumento monetario . Ma il vero mistero è come mai  i ceti dirigenti dei Paesi in crisi non sembrino voler discutere apertamente della questione monetaria, nonostante siano le principali vittime della stessa, nonostante il fatto che l’austerità sia stata smascherata nella sua essenza velenosa. In parte l’ha spiegato Krugman la scorsa settimana: l’euro e l’austerità ad esso necessariamente collegata sono un potente fattore per distruggere diritti e welfare, costituiscono cioè un’arma affilata in mano alle parti più conservatrici della società. Tuttavia la difesa della moneta unica come un feticcio o un dio crudele, va oltre questo disegno pur esplicito in taluni momenti. Il fatto che si cerchi di esorcizzare la realtà, di non vederla, di alimentare paure per nulla fondate, il fatto che un vicedirettore del Sole 24 ore arrivi ad asserire che il cambio fissato dell’euro era di 1700 lire, sbagliando clamorosamente ciò che qualunque casalinga sa perfettamente e fondando su questo un insulso ragionamento, inducono a pensare che in realtà non si voglia parlare seriamente di una prospettiva  che tuttavia viene avanti inesorabilmente. Come direbbe Hegel il passo dei suoi stivali già rimbomba.

E allora, almeno per quanto riguarda l’Italia, oltre al disegno politico, la ragione della censura, del mettere la testa sotto la sabbia, va cercata nell’inadeguatezza delle classi dirigenti che ormai vedono nel declino del Paese l’antidoto al loro declino, la permanenza di visioni, prassi, nomi, clan, potentati, apparati che da un quarto di secolo tengono banco e che potrebbero essere scompaginati da cambiamenti così critici. Ma più in generale si avverte l’effetto di una sindrome di Stoccolma storica: la difficoltà a riappropriarsi di una indipendenza decisionale da parte di ceti che prima nell’ambito del mondo diviso in blocchi, poi nell’Europa e infine nella subalternità alla Germania si sono abituati a trovare fuori dal Paese quelle colonne portanti che permettono poi di erigere fragili murature interne, di avere regole incerte e sempre violabili, insomma di costruire una società slabbrata e priva di etica, dove il potere è praticamente privo di contrappesi. Che anzi vengono demonizzati quando qualcuno di essi, almeno parzialmente, sembra funzionare. Dunque l’euro non è solo l’espressione di un errore economico, ma anche, in un certo senso, l’espressione di una malattia politica e morale.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines