Per avere un’idea della miseria in cui è caduto il continente, delle drammatiche e ridicole aporie a cui lo ha portato la fede liberista della sua ambigua e opaca burocrazia, non c’è bisogno di fare molta fatica: basta cliccare su Google. In termini più rigorosi si tratta di una metaricerca, visto che si occupa dello stesso motore con le due “o”, ma in ogni caso se si digita “Google, accuse per evasione” si ha una nutrita serie di link sulle vicende fiscali che vedono protagonista l’azienda di Mountain View sia in Italia, che in Francia, che in Gran Bretagna.
I particolari possono essere letti dovunque, si tratta comunque di milioni di euro sottratti al fisco e di concorrenza sleale nei confronti dei possibili competitori nazionali. Ma non è che Google nasconda i soldi sotto il materasso o dentro un server e alteri i libri contabili, semplicemente conteggia i ricavi che fa nei vari Paesi europei sulla sua filiale irlandese: nell’isola verde infatti il livello di tassazione è nettamente inferiore. Tutto dunque come nella normale logica delle multinazionali, con qualche problema interpretativo riguardo alle normative fiscali, ma nulla che sostanzialmente abbia mai attirato l’attenzione dell’Europa che ha anzi in passato ha più volte lodato l’Irlanda per il suo modello di sviluppo.
Ora cerchiamo di capire l’assurdità di tutto questo. Lo sviluppo irlandese negli anni ’80 e ’90 è stato dovuto a due fattori: le basse tassazioni e i bassi salari che attiravano le multinazionali proprio allo scopo di fare il giochino di Google. Ma via via che l’isola cresceva economicamente occorreva mantenere il modello non solo lasciando la tassazione bassa, cosa che rappresentava un problema per il welfare o l’evoluzione del sistema sanitario e scolastico, ma evitando che i salari salissero altrimenti la convenienza ad operare nell’isola sarebbe venuta meno: la diminuzione della disoccupazione che questo schema aveva consentito aveva i suoi limiti non consentendo un salto di qualità. Così il sistema irlandese, al pari di quanto avveniva negli Usa, trovò comodo compensare ciò che lo stato e l’economia reale di tipo coloniale non potevano fare, attraverso un facile accesso ai mutui immobiliari e al credito al consumo.
Insomma una via d’uscita finanziaria attraverso i soliti fondi spazzatura e la moltiplicazione di scommesse sui crediti: la bolla è scoppiata nel 2007, persino in anticipo su quella mondiale. Una situazione a cui il governo irlandese, proprio a causa delle entrate minimali, non ha potuto assolutamente far fronte e alla fine, per salvare e nazionalizzare le banche, è stato costretto a chiedere aiuto alla Ue (oltre che all’Fmi e alla banca mondiale) che ha concesso 90 miliardi tramite il vecchio fondo di stabilità, finanziato sui bilanci dei vecchi stati (da notare che 90 miliardi per un Paese che ha un decimo del nostro Pil, è come se a noi arrivassero 900 miliardi).
Il risultato è questo: che per aiutare l’Irlanda anche il nostro debito/Pil è peggiorato visto che l’Italia ha dovuto sganciare 14 miliardi per l’Irlanda, la quale continua a tenere le tassazioni basse affinché le multinazionali possano evitare di pagare le tasse da noi e dunque danneggiare per un altro verso i nostri conti. Quante cose che possiamo chiarirci semplicemente usando Google. La cosa più interessante però è il modo in cui tutto questo avviene: perché se i salari irlandesi, in questa tempesta, sono ulteriormente diminuiti e la disoccupazione è riaumentata a livelli pre boom, gli equilibri finanziari vengono mantenuti attraverso una diminuzione dei nostri salari, perdita di servizi e welfare. Il che significa che a guadagnare dalla situazione sono esclusivamente le multinazionali e le banche mentre il riequilibrio per i popoli è sempre al ribasso: le risorse vengono infatti drenate dove hanno più valore per essere scaricate e contabilizzate dove si paga di meno.
Ma tutto questo piace all’Europa sordida e ottusa dei burocrati. Quelli del degrado e della rovina.