Dopo il risultato delle elezioni che hanno mostrato come la disaffezione verso l’Europa bancocentrica, austeritaria e liberista si stia tramutando in netto rifiuto del sogno diventato incubo, la Ue cerca di delle vie d’uscita. Ma purtroppo molte porte sono state murate e ci sono solo degli angusti pertugi, più che altro delle scappatoie destinate soprattutto a mantenere in vita i vari governi della troika, ma non a far uscire il continente dalla crisi che l’attanaglia: la revisione dei criteri di calcolo del Pil nel quale sarebbero incorporate spese militari, assicurative e persino calcoli sul contrabbando e la prostituzione, una ulteriore diminuzione dei tassi sulla cui efficacia si possono nutrire molti dubbi visto che potrebbero tradursi in ulteriori manovre speculative, una maggiore elasticità sulla considerazione del deficit e infine le misure non convenzionali vagheggiate da Draghi. Negli uffici di Bruxelles la realtà sembra lontana, così come sembra lontana la possibilità di rimettere mano davvero a tutto l’edificio.
Si tratta di pannicelli caldi, buoni forse per i populismi conservatori del Sud Europa, club nel quale siamo appena entrati, ma nulla che possa davvero innescare un ripresa, nulla che affronti i veri problemi dell’Unione e le sue filosofie politiche ed economiche. Del resto la Ue stessa è ormai divisa in 6 fazioni l’un contro l’altra armate: la Germania che con i suoi satelliti che non vuole sentir parlare di una messa in comune del debito, la Gran Bretagna che ormai sopporta a fatica il doppio ruolo di Paese europeo e di 51° stato degli Usa e vuole andarsene, la Francia che intende riconquistare la sua indipendenza, Grecia, Portogallo, Spagna, Polonia e Irlanda che in misura maggiore o minore vogliono recuperare sovranità, l’Italia che si prepara al ruolo di europeista di ferro a suo proprio danno e le repubbliche baltiche e balcaniche che nel caos interno sono in mano a clan di osservanza finanziaria e statunitense e che lucrano la loro crescita nella differenza tra le loro monete deboli e l’euro.
In questo caos dove tutti auspicano riforme al solo scopo di rivenderle alle proprie opinioni pubbliche interne, appare evidente la strada senza uscita in cui si è cacciata l’Europa delle elite, pervicacemente attaccata all’euro più che come moneta, come idolo al quale sacrificare ogni giorno un pezzo di democrazia. E ora dopo 7 anni di crisi annaspa ancor più di prima. Per fortuna che non lo dico io, ma un premio nobel per l’economia. Ecco l’articolo che Paul Krugman scrive sul New York Times di oggi:
“Sono seduto in una stanza ad ascoltare i funzionari della UE intenti a commentare le elezioni del Parlamento Europeo – e mi pare che siano in uno stato di totale rifiuto della realtà. Barroso ha appena dichiarato che l’euro non ha nulla a che fare con la crisi, che è tutto un problema di politiche sbagliate a livello nazionale; pochi minuti fa ha detto che il vero problema dell’Europa è la mancanza di volontà politica.
Questo è piuttosto sorprendente, in senso molto negativo.
Spiacente, ma prima dell’avvento dell’euro in Europa non ci sono state recessioni a livello di vera depressione. E sappiamo esattamente quel che è successo: all’inizio, la creazione dell’euro ha incoraggiato grandi flussi di capitali verso il sud Europa, ma poi il flusso si è interrotto – e l’assenza di valute nazionali ha costretto i paesi debitori ad attraversare un processo estremamente doloroso di deflazione. Com’è possibile che qualcuno possa negare il ruolo della moneta unica?
E se c’è una cosa di cui l’Europa non manca, è proprio la volontà politica. In tutti i paesi mediterranei, i governi hanno diligentemente imposto un’austerità incredibilmente dura nel nome del “ce lo chiede l’Europa”. Cosa avrebbero dovuto fare che non hanno fatto?
Immagino che la tesi sia che se i Greci, i Portoghesi o gli Spagnoli si fossero impegnati davvero, con convinzione, con ferma volontà nelle riforme e nell’aggiustamento, le loro economie sarebbero cresciute vigorosamente nonostante la deflazione e l’austerità. La possibilità che le cose stiano andando così male – e che i movimenti radicali si siano affermati – perché le politiche imposte sono fondamentalmente sbagliate, semplicemente sembra che non sia neanche presa in considerazione.
Ma forse Krugman non sa con quale gioia gli italiani siano accorsi sotto il capestro, non avendo ancora capito che è stato messo in piedi per loro.