C’è un’unica cosa in cui l’Europa riesce a dimostrare un’ostinata autonomia dal padrone americano ed è il disprezzo per la democrazia, quella formale intendo, che, come appare sempre più chiaro, non fa parte del suo disegno costitutivo, è estranea all’idea di unione gestita da elites il cui unico pensiero è quello di tenere lontani i cittadini dalle decisioni che contano. A questa natura, rimasta in qualche modo mimetizzata fino all’esplosione della crisi, ma ben presente fin dagli inizi, ho dedicato un post qualche giorno fa (vedi qui ) ed ora si rivela in tutta la sua realtà dopo il referendum greco.
Persino l’Fmi, uno degli impietosi torturatori della Grecia, adesso ritiene che l’unica via di uscita dalla situazione sia una corposa cancellazione del debito, ben sapendo che un pronunciamento come quello di domenica mette a rischio il Washington consensus nell’egeo e nel mediterraneo. Ma l’Europa no, non può tollerare il ricorso a una consultazione popolare, ha persino tentato di contestarne la validità, mandando avanti il Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, un galantuomo scacciato per corruzione dalla presidenza della commissione che attribuisce il nobel per la pace dopo anni in cui premiava non pacifisti, ma sostenitori della Nato e “autore” senza vergogna del conferimento del premio a Obama. Dunque non si può ragionevolmente sperare che vengano fatte concessioni reali alla Grecia: le cose saranno portate avanti fino a che Tsipras non abbia totalmente capitolato costruendo così le premesse per una caduta del governo di Atene e la sua sostituzione con gli amici di Bruxelles o il Paese non sia costretto ad uscire nel modo peggiore dall’euro in maniera da educare anche gli altri, grazie anche a un altro onest’uomo di nome Mario Draghi (vedi nota) . Una vittoria l’ha già ottenuta con le dimissioni di Varoufakis che dimostrano tutta l’improvvisazione e l’incertezza di Tsipras , ma continuerà come un carro armato su questa strada: a questo punto all’Europa delle elite fa più paura che un referendum intervenga a cambiare le carte in tavola, che non uno sfregio al tabù della moneta unica pur con tutto il casino che ne nascerebbe a causa dei derivati costruiti sui titoli greci.
Del resto il duo franco tedesco non è politicamente in grado di reggere a un consolidamento del debito ellenico senza perdere la faccia nei propri Paesi e per di più credo – questa è un’idea tutta mia – che la Germania abbia un disegno geopolitico dentro il quale un’uscita della Grecia dal consesso europeo possa fare più gioco che non una difesa ad oltranza dell’euro da cui Berlino ha già spremuto tutto ciò che poteva. Ripeto è una mia impressione che si aggiunge però ai dati oggettivi della questione, in primis all’impossibilità materiale di Atene a ripagare i creditori, evidenza matematica che sposta dal piano finanziario a quello politico tutta la questione.
Se si tenta di cancellare e di considerare res nullius un referendum in cui una straordinaria maggioranza ha detto no agli inutili massacri della troika, la battaglia a cui stiamo assistendo non è per niente quella che appare e che preoccupa tante animule sommerse dai media, è invece quella tra l’oligarchia e la democrazia, tra lo sfruttamento e il lavoro, tra la precarietà perenne e la possibilità di futuro.
Nota E’ di dominio pubblico il ruolo svolto da Draghi, quando era ai vertici di Goldman Sachs, nella vendita di derivati alla Grecia affinché il Paese potesse “truccare” i conti ed entrare nella moneta unica. Adesso lo stesso gentiluomo si appresta a strangolare Atene.