Diciamolo molti cittadini sono disattenti, distratti , sotto occupati o forse disoccupati e così si sono lasciati sfuggire la novità dell’anno: che la recessione è finita, la crisi è alle spalle. I bollettini del governo uscente, i media, le speranze del guappo di Firenze, si aggirano come avvoltoi attorno a questa notizia : nell’ultimo trimestre il pil italiano è cresciuto dello 0,1% rispetto a quello precedente ( su una diminuzione annuale dell’ 1,9%). Come si faccia a non percepire una realtà così tangibile è un mistero, anche perché il 2014, anno delle elezioni europee di maggio, è guarda caso, vedi la coincidenza, il primo dal 2007 in cui la “crescita” avviene nella prima metà dell’anno e non è spacciata come certa nella seconda metà.
Lo so che a pensar male si fa peccato, anche perché i segni più ci sono praticamente in tutta Europa, spesso anche più corposi negli altri Piigs, cosa che fa scattare – per pura convenzione tecnica – l’uscita dalla recessione. Lo so che magari il più 0,1 dovuto quasi interamente al settore agroalimentare ci rivela solo che c’è stato Natale, mentre la diminuzione complessiva della produzione industriale verificatasi a dicembre e gennaio nel continente e anche negli Usa raffredda gli entusiasmi insufflati tramite media e costringe al contorsionismo statistico. O alla deliberata beffa come Moody’s che in un intricato linguaggio spiega che l’Italia sta meglio grazie al regalo di 7,5 miliardi alle banche e l’idea di sgravarle nel corso dell’anno dal perso dei crediti inesigibili. Del resto più ci si avvicina al fondo del barile, più è probabile che vi siano lievi oscillazioni positive, pur dentro un quadro di declino: anche nel 2011 il secondo trimestre fu positivo con lo 0,2% e la stessa cosa e avvenuta qui è là in tutti i Paesi in crisi, persino in Portogallo quando la gente fu costretta a vendersi l’oro per campare .
Ma il fatto è che nello stato di agonia e deflazione in cui la troika ha ficcato l’Europa sarà più difficile per il futuro tirare fuori numeri positivi che non debbano solo ballare solo tre mesi fino alle elezioni. Con la crisi della domanda e dunque la bassa inflazione il pil nominale che è costituito dal prodotto interno lordo reale più l’inflazione, rimane misero, non è un buon argomento di distrazione di massa. Però niente paura, la commissione Ue ha già la soluzione in tasca: se la realtà non ubbidisce all’ideologia liberista lo può fare la statistica che ne è l’ancella. Così da settembre prossimo, in tempo per avere dati annuali decenti, saranno rivisti metodi calcolo del Pil adottando i criteri Usa che garantiscono cifre accettabili: la spesa in ricerca e sviluppo, attualmente conteggiata come un costo rientrerà invece tra gli investimenti, la stessa cosa accadrà per gli armamenti (gli F35 faranno aumentare il Pil, ricordatelo voi che pensate sia una spesa inutile), le merci mandate all’estero per lavorazioni particolari e poi reimportate per creare o semplicemente marchiare il prodotto finito (immaginiamo tutto il settore abbigliamento con il suo made in Italy fasullo, ma anche la meccanica), il pesante settore delle polizze assicurative. E il gioco è fatto. Con lo stesso metodo usato per l’inquinamento idrico o ambientale in genere: se non si può o vuole fare nulla per abbassarlo basta aumentare i livelli di tollerabilità.
In questo modo si potranno vantare decenti livelli di crescita inesistente e mostrare che alla fine della fiera l’austerità ha pagato: la diminuzione del reddito reale verrà nascosta dall’inserimento di nuove voci prima mancanti. Del resto è ovvio: le ideologie economiche si foggiano i loro strumenti di misurazione e il vecchio Pil in questo è una manna. Quindi non siate disfattisti, la disoccupazione cresce, le aziende chiudono, i salari calano, le pensioni spariscono, la precarietà diventa normale, ma il signor Pil, cari miei, se la passerà benissimo.