Stiamo vivendo in momento storico complesso, confuso, contraddittorio. In questo momento vacilla, nell’immaginario collettivo, la fiducia dei popoli d’Europa in quel processo di costituzione-costruzione di un’Europa unita. Invero, quel che manca seriamente e sinceramente è proprio la consapevolezza della cultura, della civiltà, delle matrici comuni del Vecchio Continente, gli abitanti dell’Europa non sanno cosa sia l’Europa, quale la sua storia, ma soprattutto se è evidente quanto ci renda differenti, e direi felicemente differenti, non è altrettanto luminosamente chiaro quanto ci unisca e ci consenta di coesistere-consistere insieme.
Personalmente ritengo che fra le numerose ragioni di coesistenza-consistenza insieme si debba porre la Letteratura. Al punto che dovremmo parlare di Letteratura europea.
Nella sua formulazione storica l’idea di letteratura europea presuppone e contiene, al contempo, come conseguenza, l’idea di Europa (unita o meno). In tal senso, la letteratura europea non è il paradigma della letteratura universale, ma per i cittadini dell’Unione la bussola che può indicare il nord del dialogo con l’alterità della letteratura mondiale: affinché due o più letterature dialoghino ciascuna deve possedere una piena coscienza di sé, una cognizione fondata delle proprie strutture, una chiara consapevolezza della propria storia.
Sin dall’età umanistica e per tutto il Rinascimento gli intellettuali che abitarono il continente europeo, due nomi per tutti Erasmo da Rotterdam e Giovanni Pico della Mirandola, si sentirono parte di una comune Repubblica letteraria. Europa letteraria e letteratura europea saranno sinonimi nelle disquisizioni degli intellettuali del nel XVIII secolo, ad indicare un’appartenenza identitaria, culturale, spirituale sopranazionale, resa possibile dalla letteratura stessa, intesa in senso lato.
Questa idea di letteratura europea, così concepita, prescinde da una patria stanziale in un qualche paese o nazione del continente europeo: è sopranazionale, cosmopolita, affidata all’universalità di elementi comuni, quali ad esempio la lingua latina, i metodi e le forme di comunicazione, generi letterari condivisi. Ma, a causa delle vicende belliche e politiche dell’Europa, fra XVII e XVIII secolo, si avvia un percorso inevitabile dalla Repubblica delle lettere all’Europa letteraria, in cui si vuole riconoscere uno spazio geopolitico che, epoca dopo epoca, secolo dopo secolo, accolga i frutti della letteratura, in una sorta di ideale passaggio del testimone in un’altrettanto metaforica staffetta della produzione letteraria: l’Impero prima, la Cristianità cattolica poi, fino al susseguirsi delle differenti letterature nazionali, che di volta in volta si assunsero il compito del progresso dello spirito e della letteratura europea.
Voltaire crede fiduciosamente in un’Europa letteraria cosmopolita, quando afferma, nel noto Il secolo di Luigi XVI (Einaudi,Torino, 1994, pp 16 e sgg): «Si è visto che una repubblica letteraria si era insensibilmente stabilita in Europa, nonostante le guerre, e nonostante le diversità di religione. Tutte le scienze, tutte le arti hanno così goduto di scambievoli aiuti; le accademie han creato tale repubblica. La letteratura ha unito l’Italia colla Russia, gl’inglesi, i tedeschi, i francesi andavano a studiare a Leida […] i veri scienziati, in ogni ramo del sapere, hanno stretto i legami di quella grande società degli spiriti, dappertutto diffusa, e dappertutto indipendente. Tale carteggio dura ancora ed è una delle consolazioni dei mali che l’ambizione e la politica procurano all’umanità».
Un’Europa, dunque, nella quale gli intellettuali, gli artisti, i letterati dialogano naturalmente, oltre i confini nazionali e linguistici, attingendo ad un patrimonio comune di conoscenze e i cui frutti costituiscono fino ai nostri giorni un patrimonio comune.
D’altro canto, invece, Ludovico Antonio Muratori, nel 1703, nel suo Primi disegni della repubblica letteraria d’Italia, propone un’Europa di nazioni, le cui letterature sono il frutto della Repubblica letteraria nazionale: «una repubblica letteraria meno utopistica e soprattutto meno accademica di quanto possa sembrare a prima vista: è l’ideale, infatti, di una comune cultura nazionale, che possa inserirsi armonicamente nel moto nazionale europeo[…]»(da L. A.Muratori, Opere, Ricciardi, Milano, 1964, Tomo I pp177 sgg.). Questa definizione di Repubblica delle lettere nazionale è giustificata sia dalla condizione linguistica sia dalla realtà politica che in tutta Europa dalla fine del XVIII secolo fa maturare l’evidenza della localizzazione della letteratura, residente in una data lingua, espressione d’una nazione o d’un popolo, e questa nazione o questo popolo sono collocati in uno spazio geografico distinguibile attraverso i confini, che quando non tracciati dalle manifestazioni morfologiche naturali, sono evidentemente marcati sulle mappe geografiche.
La prima compiuta riflessione sul concetto, come tema-problema, D’una letteratura europea risale a Giuseppe Mazzini, con la pubblicazione sull’«Antologia» del Viesseux, nel 1829 di un lungo saggio. «Le vicende, le istituzioni, le nuove credenze, i mutati costumi, e le passioni diversamente temprate, hanno creato il bisogno d’una nuova Letteratura, ch’ esprima la situazione, ed i voti del moderno incivilimento; perché la Letteratura, quando non s’inviscera nella vita civile, e politica delle nazioni, è campo d’inezie, snervatici degli animi […]. Per tutta l’Europa ferve uno spirito, un desiderio di innovazioni letterarie, che accusa la sterilità delle norme antiche, e la insufficienza degli antichi modelli. Poiché dunque né molestia di circostanze, né intolleranza di pregiudizio può fare, che il voto de’ popoli rimanga inesaudito per sempre, la Letteratura invocata sorgerà […]. Uno dei caratteri fondamentali di questa Letteratura è indicato, a mio parere, nelle parole di Goethe […], parmi che esse stabiliscano una differenza essenziale fra le antiche Lettere, e le moderne. E so, che a molti il vocabolo di Letteratura Europea suona distruzione d’ogni spirito nazionale, d’ogni carattere individuale de’ popoli; ad altri, a stranezza, sogno utopistico. I primi confondono l’indipendenza d’una nazione col suo isolamento intellettuale- ed è errore di mente; i secondi disperano degli uomini, delle cose- ed è difetto di cuore […]. Se io apro le Storie delle Letterature, esse mi presentano un alternarsi di gloria, e decadimento, e influenze reciproche, e trasfusioni d’una in altra, e istabilità perpetua di Gusto, or nazionale, or corrotto, ora servo. Nessun popolo ebbe mai Letteratura desunta così dalle proprie viscere, che non vi si mischiassero a principio colle tradizioni, e più tardi colle conquiste, alcuni frammenti stranieri: nessun popolo ebbe Gusto così radicato e potente, che non mutasse coi secoli, perché il Gusto, eretto da taluni ad astrazione immutabile, è risultato di educazione, e rappresenta il grado, che un popolo tiene nella civiltà. Così Letteratura Italiana ebbe ne’ suoi principi la impronta del Gusto, che gli Arabi avevano comunicato al mezzodì dell’Europa: fu platonica, mistica, e tendente all’idealismo in un secolo: inchinò al materialismo in un altro: severa, e nazionale in un tempo, suonò parole d’indipendenza, e di magnanimo sdegno: imitatrice servile in altro […]. Esiste in Europa una concordia di bisogni, e di desideri, un comune pensiero, un’anima universale, che avvia le nazioni per sentieri conformi ad una medesima meta […] dunque la Letteratura – quando non voglia condannarsi alle inezie dovrà inviscerarsi in questa tendenza, esprimerla, aiutarla, dirigerla – dovrà farsi Europea ». Eccessivo sarebbe riportare i XVIII paragrafi in cui si suddivide il saggio mazziniano, ma non inutile lettura che consiglio a tutti piacevolmente e appassionatamente (è possibile effettuarla integralmente nel testo a cura di Armando Gnisci La letteratura del mondo, Sovera, Roma, 1993).
Dalle parole di Mazzini si evince un appassionato e coerente invito a concepire una Storia della Letteratura Europea, al fine di stabilire una reale letteratura europea, che scaturisce dalla concordia dei bisogni e dei desideri dei popoli europei, così da avviare le nazioni verso una medesima meta: obiettivo precipuo dell’Unione, espresso nel Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, e che si potrebbe esprimere altresì nell’avveniristico sforzo programmatico di una letteratura per l’Europa.
Quando rileggeremo, magari durante questa estate, alcuni dei classici europei (Balzac, Dryden, Seferis, Calderon de La Barca, Mann etc. etc., rivolgiamo a loro il nostro pensiero come a padri ideali della nostra Unione europea.