L’eutanasia e l’incapacità di dare un senso alla vita

Creato il 27 novembre 2013 da Uccronline

Dalla Francia una nuova notizia macabra: due 86enni, Bernard e Georgette Cazes, temendo di morire uno/a prima dell’altro/a e di perdere l’autonomia in caso di malattia, hanno deciso di suicidarsi in una confortevole camera al Lutetia, albergo parigino.

Hanno anche lasciato una lettera nella quale hanno accusato lo Stato di averli costretti a una morte difficile, dolorosa e clandestina, a causa del rifiuto di considerare la legittimità del suicidio assistito. Intanto nel Belgio la commissione preposta sta per dare risposta affermativa all’eutanasia anche per bambini e disabili.

Non torniamo oggi ad esporre l’evidenza del piano inclinato e la nostra posizione in merito, dato che coincide perfettamente a quella di Papa Francesco, secondo cui occorre contrastare la «cultura dello scarto» che «richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli». Per questo «l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa».

Vogliamo però riflettere sul fatto che questi sono inevitabilmente i dilemmi delle società più secolarizzate, ossessionate dal sesso, dalla sofferenza e dalla morte. L’incapacità di dare un senso adeguato alla vita porta a rifugiarsi compulsivamente all’unica cosa che sembra somigliare all’infinito, cioè il godimento sessuale (inculcato già alla più tenera età, come la sex box svizzera). Eppure proprio uno scrittore francese, Celine, spiegava che «il sesso, vissuto di per sé, è l’infinito dei cani», cioè un’illusione di felicità, di infinito. Così, quando non è più possibile ingannarsi o distrarsi, cioè quando gli anni che si portano abbondanti sulle spalle conducono ad una lucida maturità, la vita oltre che sterile ed inutile, diventa anche oggettivamente dolorosa, sopratutto se si è malati e soli.

Senza vivere in una prospettiva di Senso ultimo adeguato, dove l’orizzonte non è il proprio ombelico ma il destino voluto per ognuno da Dio, il dolore è insopportabile perché innanzitutto è ingiusto, privo di senso. La vecchiaia e la malattia si sopportano anche, è l’ingiustizia della sorte, la terribile dittatura del caso che si abbatte sull’uomo e sradica brutalmente ogni sua aspirazione a risultare insopportabile, ad urtare contro le nostre teorie sull’autodeterminazione assoluta. Le nostre società secolarizzate sono tornate dominate del fato, come le civiltà pre-cristiane. La morte in questo scenario appare l’unica via d’uscita accettabile per ribellarsi all’impotenza.

L’eutanasia perciò appare un dovere per chi non condivide la prospettiva cristiana, cioè per chi ritiene inutile la sofferenza e la vita. Tuttavia noi cristiani siamo chiamati a testimoniare che è possibile un altro modo di vivere, ad opporci al nichilismo e alla “cultura dello scarto”, a non arrenderci alla disperazione (mancanza di speranza) e al fatto che lo Stato diventi complice del fallimento esistenziale di questi uomini, anche se a loro può sembrare il progresso.

A conclusione dell’Anno della Fede, Papa Francesco ha proprio invitato ad «aprirsi a quanti sono più poveri di fede e di speranza nella loro vita. Parliamo tanto di povertà, ma non sempre pensiamo ai poveri di fede: ce ne sono tanti. Sono tante le persone che hanno bisogno di un gesto umano, di un sorriso, di una parola vera, di una testimonianza attraverso la quale cogliere la vicinanza di Gesù Cristo. Non manchi a nessuno questo segno di amore e di tenerezza che nasce dalla fede».

La redazione


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