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L’evangelo dimenticato di Gesù di Nazareth

Creato il 15 marzo 2013 da Www.marsala.it @@il_volatore
A seguito del mio ultimo intervento su questo blog, ho ricevuto l’interessante osservazione della lettrice Adriana Di Domenico, la quale sottolineava, a mio avviso assai opportunamente, la centralità del «messaggio umano, etico di Gesù». Poiché questa tesi incontra ancora oggi molte resistenze in seno agli ambienti ecclesiastici, accademici come popolari, vorrei ripercorrerla nella sua genesi storica e ribadirne l’estrema attualità e la fondata plausibilità. Quanto afferma la stimata lettrice sta alla base del perenne conflitto delle interpretazioni in ordine al significato dell’annuncio di Gesù: quest’ultimo, infatti, può essere declinato in maniera sensibilmente diversa a seconda del significato che attribuiamo al genitivo. Cerco di spiegarmi meglio: quello di Gesù può essere inteso come l’annuncio che egli stesso trasmise o, in alternativa, come l’annuncio che lo riguarda in quanto oggetto del messaggio. In definitiva, in via preliminare, è necessario chiarire se Gesù, in relazione all’evangelo, sia l’annunciatore o l’annunciato. Nell’ambito della cosiddetta ricerca sul Gesù storico, giunta attualmente alla sua terza fase, questa problematica è stata approfondita e si è potuto appurare in maniera incontrovertibile che Gesù non ha mai annunciato se stesso come contenuto dell’evangelo, il quale, piuttosto, è incentrato sull’invito a cooperare alla costruzione di un regno di giustizia che ha come soggetto attivo i diseredati e le oppresse dal sistema di connivenza politico-religioso. L’evangelo dimenticato di Gesù di NazarethQuesto nucleo originario dell’annuncio gesuano fu poi oggetto di una rielaborazione teologica che affonda le proprie radici già nel cristianesimo delle origini, segnatamente nell’epistolario paolino prima (redatto intorno agli anni 50-60 e.v.) e nella letteratura giovannea poi (fiorita a cavallo tra il I ed il II secolo e.v.). Nei vangeli cosiddetti sinottici (Marco, Matteo e Luca), infatti, la centralità della componente etica nel messaggio di Gesù è evidente: essa non è dissociata dalla confessione messianica legata alla sua persona (poiché tale confessione è comune a tutte le testimonianze neotestamentarie) ma mette in rilievo quella che opportunamente la nostra lettrice definisce come la dimensione umana di Gesù, del suo messaggio e, prima ancora, dell’immagine stessa di Dio che tale messaggio riflette. L’umanità, in effetti, costituisce il cuore dell’evangelo, l’aspetto sempre attuale, perché perennemente incompiuto, dell’annuncio di Gesù: essere umani, difatti, non è una condizione ma un compito, al quale il messaggio del nazareno ha sempre invitato ad indirizzare lo sguardo e a conformare l’agire. Nella predicazione di Gesù la dimensione nevralgica, costitutiva, è quella dell’ortoprassi, di un atteggiamento attraverso cui sia possibile realizzare i contenuti di un annuncio che, se rimane verbale, perde la sua concretezza, il suo carattere performativo, ovverosia la sua capacità di trasformare l’ingiustizia delle relazioni umane e sociali in atto: situazione, quest’ultima, che, con tutta evidenza, è rimasta invariata nei secoli. Questo aspetto di concretezza dell’evangelo annunciato e praticato da Gesù di Nazareth deve essere inteso a partire dalla collocazione dell’uomo e del suo messaggio in seno alla tradizione religiosa e culturale nella quale entrambi si inscrivono: quell’ebraismo riletto in chiave profetica che fece della critica all’establishment politico-religioso il proprio carattere distintivo. In ebraico, infatti, il termine davar possiede una duplice, inscindibile valenza: significa, al contempo, parola e fatto. Nella cultura ebraica, chi parla sa di agire: ecco perché un evangelo dai contenuti celesti e dal taglio dogmatico rappresenta una contraddizione in termini. È stata la predicazione ecclesiastica, a partire dalla trasformazione del cristianesimo da movimento plurale e perseguitato a religio licita dell’impero romano (status al quale assurse definitivamente attraverso l’editto di Tessalonica promulgato nel 380 e.v. dall’imperatore Teodosio), a spostare definitivamente l’accento da una predicazione di natura eminentemente etica ad un annuncio dottrinariamente unitario, disciplinato dalle (discutibili, benché de facto insindacabili) decisioni conciliari. Sono persuaso del fatto che tornare ad insistere sulla dimensione etica ed umana del messaggio di Gesù possa rappresentare la via più feconda per un dialogo tra sensibilità distinte, che siano considerate realmente sullo stesso piano nel momento in cui, anche criticamente, si confrontano. Una teologia che parta dal presupposto, tacito ma comunque evidente, di una presunta superiorità morale o veritativa del messaggio da cui dice di prendere le mosse, di fatto si sottrae alla terrestre e diuturna fatica della ricerca di una più piena umanità, la quale, necessariamente, si fonda su quell’itineranza che fa della provvisorietà l’unico orizzonte di ogni umano approdo. Questo, difatti, fu anche l’orizzonte entro il quale si dispiegarono l’esistenza di Gesù ed il suo annuncio. Alessandro Esposito – pastore valdese (articolo pubblicato su MicroMega il 12 marzo 2013)

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