L’evoluzione dell’arte
12 giugno 2015 di Dino Licci
Caravaggio: The Incredulity of Saint Thomas 1601-02; Oil on canvas, 42 1/8 x 57 1/2 in; Neues Palais, Potsdam
L’evoluzione artistica dello scorso millennio comportò notevoli variazioni pittoriche soprattutto a partire dal quattrocento quando con Paolo Uccello, Beato Angelico, Antonello da Messina, il Perugino e soprattutto Masaccio, le immagini saranno sottoposte a più scrupolosi studi prospettici rispetto a quelli già intrapresi da Giotto. La bidimensionalità tipica del periodo medievale, sarà abbandonata del tutto quando si affacceranno sulla scena i grandi maestri del cinquecento, che daranno vita al manierismo che dilagherà in tutta l’Europa. Il grande, poliedrico, anzi eclettico Leonardo da Vinci, fra un’invenzione e l’altra, riuscì ad apportare sostanziali cambiamenti di stile nell’arte pittorica.
Per la prima volta i personaggi venivano raffigurati di tre quarti e per la prima volta più persone venivano raggruppate in un solo blocco; ma la vera novità fu lo sfumato che addolciva l’espressione dei volti posti in una prospettiva del tutto nuova e contornati da paesaggi lontani che ne potenziavano la prospettiva.
Michelangelo perfezionò lo studio sui movimenti del corpo umano esaltandone l’anatomia, mentre Raffaello cominciò a ritrarre i volti dei suoi committenti o di personaggi storici realmente esistiti.
Insomma questi grandi pittori del basso Rinascimento rispetto a quelli del quattrocento, riuscirono a dare un maggiore realismo all’ espressione dei volti e maggior naturalezza ai loro movimenti.
Grazie a Raffaello poi, i temi pittorici che avevano riguardato solo scene del vecchio e nuovo Testamento, si arricchirono di scene storiche e mitologiche.
Accanto alla delicata sensualità che aveva finora caratterizzato la figura femminile, i dipinti si arricchiranno di un palese erotismo mentre la fine dell’oscurantismo medievale consentirà anche l’introduzione nell’arte di divinità greco –romane bandite dalla cristianità.
A competere con l’arte fiorentina o, quanto meno ad affiancarla, ci penseranno Giorgione e il suo allievo Tiziano che a Venezia condurranno ricerche approfondite sul colore e sull’espressività di volti pari a quelle dei grandi colleghi fiorentini. Anche a Roma, contando sul mecenatismo di Clemente VII, molti pittori si adeguarono alle nuove correnti pittoriche, ma furono costretti a fuggire quando le truppe di Carlo V nel 1527 saccheggiarono Roma arrivando pericolosamente sotto le mura di Castel Sant’Angelo dove il papa si era rifugiato. Ricordiamo, tra l’altro che Benvenuto Cellini, quello della famosa saliera, difese strenuamente le mura del castello, ma i più fuggirono spargendosi per tutta l’Europa, contribuendo così a divulgare le nuove idee: Giulio Romano si recò a Mantova alla corte di Federico Gonzaga, Perin del Vaga raggiunse la Liguria ospite di Andrea Doria, Rosso Fiorentino finì in Francia, il Parmigianino a Bologna. Ma nella seconda metà del XVI secolo, in un’Italia sommersa dalle invasioni straniere, il malessere che ne derivò, influenzò tutta la pittura manieristica, che dovette abbandonare il sogno di fare rivivere nei quadri tutta la compostezza dell’antichità classica, per esprimersi con figure che mostravano tutta la sofferenza e il disagio dell’umanità del tempo. Tali ci appaino le melanconiche tele del Pontormo, che in esse riversò tutto il malessere della sua personalità tormentata ed introversa. Erano i prodromi di un nuovo corso della storia dell’arte, che si manifesterà compiutamente con due nuove correnti:quella di Carracci, di cui Annibale fu il maggior rappresentante e che sfocerà nel barocco e quella del Caravaggio, che sconvolse del tutto il manierismo che lo aveva preceduto.
Questo grande pittore lombardo cominciò a posare lo sguardo su soggetti scelti fra la gente di umile condizione sociale raffigurando tutto il dolore delle privazioni cui la povertà li costringeva.
I colori diventarono cupi e tenebrosi, mentre dall’oscurità emergevano, quasi parlanti, i protagonisti del suo eloquio pittorico, investiti da fasci di luce che ne esaltavano i tratti stravolti e tragicamente reali. La malattia, la morte, l’angoscia degli umili vennero rappresentati con una maestria che ancora coinvolge l’osservatore incantato davanti al dolore che tali tele sprigionano quasi fossero vive!
Non mancavano metafore ed allegorie nei suoi lavori talmente parlanti che fecero dire al Carracci:
“Noi altri dipintori abbiam da parlare con le mani”
In “Giuditta e Oloferne”, la brutalità della scena biblica richiama l’attenzione sui problemi della giustizia del suo tempo che non a torto lo perseguitava, mentre con “La testa della Medusa” il volto umano, stravolto fino all’eccesso, riesce a trasmetterci un’angoscia che ci colpisce oltre misura.
Il “tenebrismo” del Caravaggio riuscì ad influenzare tutta l’arte futura da Rubens a Velazquez, da Rembrant a Weimer, e fino a Goya, Gericoult, Delacroix, Courbet per citarne alcuni.
Il Caravaggio ha lasciato un’impronta talmente profonda nell’evoluzione dell’arte, da far dire a Bernard Berenson, influente storico statunitense:
“Con l’eccezione del Michelangelo, nessun altro pittore italiano ha esercitato una così grande influenza sui pittori posteriori.”