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L’evoluzione della comunicazione ambientale: dalla pratica istituzionale alla strategia d’impresa (parte prima)

Creato il 08 gennaio 2013 da Greeno @greeno_com

Come è cambiato il messaggio ambientale: dalla comunicazione emergenziale alla Pubblicità Progresso.

Lo scenario è chiaro: fare comunicazione a tema ambientale è diventata una leva strategica del product marketing, e chi vive il fenomeno da addetto ai lavori non fatica a prevedere che diventerà sempre più nevralgica (qui su Greeno vogliamo darvi conto di questo processo che si intravede da un po’, e confrontarci con la vostra percezione del fenomeno).

Tralasciamo volutamente il discorso sull’ e(ti)cosostenibilità di questo nuovo prodotto ibrido di marketing, almeno per ora. Ci interessi, al momento, prendere atto di una epocale trasformazione del modo di comunicare (sul)l’ambiente. E chi vi scrive è convinto che questa trasformazione assecondi i cambiamenti nelle competenze dei destinatari dei messaggi molto più dei cambiamenti climatici… Questo revisionismo sul tema e l’aumentata sensibilità verso l’urgenza degli interventi hanno favorito il moltiplicarsi esponenziale della pubblicità ambientale.

La dinamica del numero di creatività e di annunci ambientali risulta fortemente crescente tra il 2006 e il 2010: per le creatività si evidenzia un aumento del 900%, per il numero di annunci l’aumento è ancora più elevato ed è pari a più del 2.800%. Anche il trend degli investimenti netti della pubblicità ambientale risulta nettamente positivo con una crescita pari a quasi 1.000% tra il 2006 e 2010 (fonte: Elaborazione su dati Nielsen, Studio IEFE Bocconi).

 

Green_Advertising

Vogliamo in questo articolo attraversare gli anni del cambiamento nella pubblicità ambientale, per certificare il punto di arrivo attraverso le tappe evolutive del fenomeno, con utili esempi. La tesi che sottende a questa panoramica è che la green advertising abbia radicalmente modificato il suo assetto valoriale man mano che:

- è cresciuta la sensibilità verso il tema, inizialmente per merito delle istituzioni e delle ONG

- è aumentata la competenza dei destinatari dei messaggi

- il product marketing ne ha intuito la portata in termini di costi / benefici

- le imprese hanno aumentato gli investimenti nel settore

Crediamo di poter spiegare l’evoluzione della comunicazione ambientale, a un livello macroscopico (nota bene), individuando cinque “stagioni” del cambiamento.

La prima è una “stagione” sempreverde, trasversale agli ultimi cinquant’anni del discorso sull’ambiente.

Più che di stagione sarebbe corretto parlare di area di riferimento. Le pratiche comunicative che ne scaturiscono sono destinate ad un pubblico specializzato, poco numeroso, a cui si rivolge un destinante costituzionalmente riconosciuto. Questo tipo di condizioni sono quelle tipiche dell’informazione tecnica a tema ambientale. I messaggi concepiti sulla scorta del contratto destinante / destinatario sono messaggi specialistici, che convocano e danno per acquisite le competenze di entrambi gli attori.  In termini di collocazione cronologica, questo tipo di pratica, come detto, è sempre esistita. Tanto che, ai fini di una lettura evolutiva della destinazione d’uso della comunicazione ambientale in rapporto al suo pubblico, quest’area risulta un’invariante. Comunque, per intenderci, questa “stagione” sempreverde  è quella dei messaggi  tecnici, il cui obiettivo non è manipolatorio o propagandistico, ma esclusivamente informativo o normativo.

Un esempio? Il regolamento della Commissione Europea sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (“REACH”)

Dagli anni ’60 agli ultimi ’80 si assiste ad una “stagione” che potremmo definire potenziale, ma inespressa.

La comunicazione ambientale, dove non assume i connotati tecnico – normativi visti precedentemente, si limita ad una non meglio definita emanazione dell’etica istituzionale. Governi e apparati pubblici includono il tema della salvaguardia nelle loro agende, più per connotazione simbolica che per averne percepito la portata. Del resto la cittadinanza sensibile all’argomento è una percentuale ridottissima. Viene da chiedersi come potrebbe essere altrimenti, se mai nessuno ha provveduto a sensibilizzarla. La comunicazione ambientale di provenienza pubblica è, dunque, una pratica blanda e occasionale (basti pensare alla comunicazione ambientale emergenziale), le cui espressioni si sforzano di essere divulgative. È il periodo, per intenderci, della Pubblicità Progresso e di alcuni esperimenti comunicativi che oggi parrebbero bizzarri o persino inconcepibili .

La terza “stagione”, collocabile indicativamente tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90, avvia il periodo della modernità della questione ambientale.

Sono gli anni dei grandi summit mondiali sull’ambiente (che raggiungeranno uno status realmente planetario con Rio ’92 e, successivamente, Kyoto ’97), riabilitati dalla fine della guerra fredda. Da questo momento in avanti, il tema ambientale entra prepotentemente nell’agenda politica / economica / sociale. I destinatari dei messaggi aumentano, e con il loro numero anche la competenza sull’argomento. I tempi non sono ancora maturi, però, per la teorizzazione di un vera e propria disciplina. La comunicazione ambientale, in questa fase storica ed in quest’area di consumo pur sempre di nicchia, conserva un’autenticità etica che la lettura occasionalmente distorta da parte del product marketing non minaccia.

Sono gli anni delle campagne di sensibilizzazione sul tema, i cui destinanti sono prevalentemente enti governativi ed organizzazioni internazionali. I loro messaggi sono chiaramente riconoscibili e detengono ancora l’esclusiva sul tema. Attenzione al concetto di esclusiva: questo tipo di comunicazione si rivolge ad un pubblico in crescita costante (nel numero e nella sensibilità) ma ancora numericamente limitato per essere considerato degno di esplorazione anche da parte delle marche. Da questo punto in avanti la comunicazione ambientale diventa un’occorrenza permanente.


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