Come è cambiato il messaggio ambientale: dalla Pubblicità Progresso agli orsi polari di Golia Bianca.
Nel precedente articolo abbiamo avviato un’analisi sulla storia evolutiva della comunicazione ambientale, iniziando a circoscrivere la definizione stessa della disciplina a partire dai suoi “prodotti” più moderni, vale a dire quelli che, includendo in maniera riconoscibile il tema ambientale, a partire dagli anni ’60 si sono costituiti più o meno consapevolmente in una tendenza macroscopica. Continuiamo questo excursus per arrivare alla pratica comunicativa ambientale contemporanea.
Si intende che, prima di approfondire in maniera più microscopica un argomento così complesso e quasi privo di un’organizzazione sistematica persino nella letteratura “ufficiale” (noi proveremo a trasformare Greeno in un microscopio), questa panoramica serve a chiarire preliminarmente che comunicare l’ambiente è da sempre una scelta o una necessità che risponde a numerose variabili (il periodo storico, il pubblico, il destinante del messaggio ambientale, il tema stesso, gli strumenti, l’obiettivo). Così vi abbiamo reso conto del passaggio dalla comunicazione ambientale occasionale/ emergenziale a quella divulgativa e di sensibilizzazione, attraversando, seppur brevemente, gli anni della modernità fino ad arrivare ai primi anni’90.
E qui mettiamo un ipotetico segnalibro, su una pagina importantissima. Abbiamo visto come fino a quel periodo la comunicazione ambientale scaturisse ancora da fonti istituzionali o governative. I tempi però stavano cambiando e qualcuno, prima di altri, intuì che l’item “ambiente” poteva essere speso non soltanto a fini normativi o educativi, ma poteva connotare positivamente anche il messaggio pubblicitario. Si trattava ancora di fare degli esperimenti, poiché la tenuta e l’appeal del contenuto ambientale erano tutti da verificare. Però iniziava a farsi strada, presso alcune imprese, l’idea che trasferire in qualche modo nel messaggio pubblicitario il valore della salvaguardia dell’ambiente potesse essere un vantaggio strategico. Ripetiamo, all’epoca di queste iniziative pionieristiche, non si aveva ancora la percezione di quale redemption potessero avere i green claims presso il pubblico. Tuttavia (e proprio per questo) la comunicazione ambientale a fini commerciali diventa negli anni ’90 un grande laboratorio, all’interno del quale affluiscono disordinatamente concetti e obiettivi a volte i più disparati e lontani tra loro.
Ma proprio questa è la svolta di cui parlavamo: l’impresa “rileva” l’ambiente dalle agende istituzionali (con cui evidentemente lo divide) e lo presta ai suoi uffici marketing. Ma cosa rileva, esattamente?
All’inizio, quasi per provarne l’efficacia, utilizza le suggestioni ambientali come sfondo della missione commerciale. Sono i primissimi tentativi di irrobustire la pubblicità emozionale ereditata dagli spot degli anni’80 (pensate alle pubblicità Barilla del 1987, quella della bambina col gattino) con una nuova leva emotiva.
Il risultato, però, è approssimativo ed il tema è appena evocato. Il messaggio etico (vero o presunto, come si caratterizzerà negli anni successivi fino ai giorni nostri) non è contemplato. La responsabilità sociale d’impresa si affermerà definitivamente solo più avanti. Ciononostante, i riscontri in termini commerciali sono positivi. Basta chiederlo all’azienda Perfetti. Esempio:
Perché, allora, non esplorare più a fondo e con maggiore maturità le possibilità offerte dal discorso ambientale? Nel periodo in questione il consumatore “green sensitive” è ancora poco scolarizzato sul tema e la nicchia di coloro i quali riescono a decifrare il contenuto misurabile dell’impegno ambientale dichiarato dalle imprese è assolutamente esigua. È crescente, però, l’apprezzamento del contenuto emotivo. Ecco, questo – ai fini di un’analisi evolutiva – ci pare degno della massima attenzione. In questa “stagione” la comunicazione ambientale delle imprese può ancora permettersi di trattare l’ambiente come un plus d’immagine, a livello del packaging. Il mercato non si decide a livello dei processi produttivi ecosostenibili e il consumatore, più che ai risultati, è sensibile alla promessa del risultato. Così, per qualche anno, si va avanti nella produzione di messaggi pubblicitari pseudo-ambientalisti, e ai destinatari va bene così.
Qualcosa, però, è destinato a cambiare a breve. L’esposizione crescente dei consumatori all’argomento della salvaguardia ambientale, favorita molto più dalle istituzioni e dalle grandi organizzazioni internazionali (pensiamo all’enorme popolarità che in quegli anni raggiungono il WWF o la FAO) che dalle imprese, costringe queste ultime a modificare il carattere della loro pubblicità. Adesso, la tendenza appena intravista qualche anno prima è in piena legittimazione. Il messaggio dipinto di verde prima o poi non basterà più. Il consumatore, si intuisce, premierà l’impegno reale.