Avete presente quel delizioso libricino di Max Aub, che si chiama Delitti esemplari? Quello in cui si trovano tutte le motivazione degli omicidi, tipo: “L’ho ucciso perché avevo il mal di pancia”? Per uccidere non c’è bisogno di valide e profonde motivazioni, basta avere un’arma al momento giusto. A differenza dei gialli, dove il movente è complesso, fatto da una ingarbugliata matassa di intrighi, nel libro di Max Aub il movente è semplice, palese, immediato proprio come nella vita, dove si uccide il vicino di pianerottolo perché tiene troppo alta la tv.
Scrive Max Aub: “Lo uccisi perché invece di mangiare ruminava”, oppure: “Lo uccisi perché avevo una pistola”. La trama de Lo straniero è di una semplicità disarmante. Un giovane francese che vive in Algeria uccide un arabo, su una spiaggia, senza motivo apparente.
Pubblicato nel 1942, il romanzo è stato tradotto in 45 lingue ed è uno dei libri più letti di tutti i tempi. Anche Camus era un francese che viveva in Algeria come il suo protagonista Meursault.
Ecco la sua storia in pillole. Nasce nel 1913 in Algeria da una famiglia poverissima, il padre, bracciante agricolo, muore in guerra quando lui aveva un anno, la madre è una domestica semianalfabeta che si arrabatta per mantenere i due figli.Il suo insegnante di filosofia, Jean Grenier, che sarà suo grande amico (a lui dedicherà il Nobel), convince la madre a fagli continuare gli studi e lo prepara al concorso per una borsa di studio all’Università di Algeri. La tubercolosi gli impedisce di giocare a pallone – è un eccellente portiere – e di seguire la carriera universitaria. Nel 1940, quando il giornale per cui scrive viene censurato, lascia l’Algeria.
André Malraux legge Lo straniero e fa di tutto per convincere Gaston Gallimard a pubblicarlo. Dopo la pubblicazione, nel 1942, Camus entra a far parte del prestigioso comitato di lettura della casa editrice Gallimard che gli mette a disposizione un ufficio con terrazza, in via Sébastien-Bottin, dove lo scrittore va tutti i giorni.Camus sulla terrazza del suo ufficio presso la casa editrice Gallimard
Si sposa due volte, la seconda nel 1940 con Francine Faure, pianista e matematica, che diventerà la madre dei suoi due figli.
A partire dal 1952, viene esposto a un fortissimo attacco da parte degli intellettuali comunisti. Sartre lo accusa di non essere marxista. Tra le sue colpe c’è di aver denunciato quello che stava accadendo in Unione Sovietica, ovvero le oscenità criminali della dittatura di Stalin, di cui era proibito parlare. Camus è meno ideologico e più umano, non pensa che il fine giustifichi i mezzi e questa posizione per Sartre è intollerabile perché ritiene che la rivolta debba passare per un’azione violenta. Per Camus la vita vale più delle idee, in Unione Sovietica come in Algeria, e Sartre lo accusa di essere un intellettuale da camera. Messo al bando dalla società intellettuale francese che, seguendo le direttive di Sartre, tenta di screditarlo in tutti i modi, Camus si ritrova isolato.
Nel 1957 riceve il Premio Nobel per la letteratura.
Ma torniamo al delitto: perché lo ha ucciso?
Il fascino del libro risiede in quest’omicidio senza motivo che crea un mistero. E’ evidente che lui ha ucciso l’arabo, lo ha fatto sotto ai nostri occhi, ma non capiamo perché. Abbiamo il colpevole ma ci manca il movente e questo è destabilizzante. Non c’è un significato sicuro, non si può raggiungere l’essenza del romanzo e forse in questo sta la sua grandezza e universalità. E poi lo stile semplice, la lingua molto facile e il fatto che sia breve fanno il resto.
Ecco la risposta che l’imputato dà al processo quando gli chiedono perché lo ha fatto: “L’ho ucciso perché c’era il sole”. Il pubblico in aula ride. Una perfetta risposta alla Max Aub.
Dice lo scrittore in un’intervista: “Se vogliamo riassumere questo romanzo in un certo senso potremmo dire che tutti quelli che non piangono al funerale della propria madre rischiano di essere condannati a morte”.
Non c’è dubbio che fosse dotato di senso dell’umorismo.
Dopo aver lasciato l’Algeria, Camus era andato a vivere a Parigi, nel VI arrondissement. Ma odiava stare a Parigi e odiava i parigini. Soprattutto odiava l’atmosfera della vita letteraria francese. Per tutta la vita ha pensato che avrebbe voluto vivere da qualche altra parte e quando ebbe il Nobel, con i soldi del Premio comprò una casa nel sud della Francia, a Lourmarin, da dove poteva vedere l’Algeria oltre le colline della Provenza. Voleva fuggire in quella regione che gli aveva fatto conoscere il suo amico, il poeta René Char, e lasciarsi tutto alle spalle, ma non gli riuscì.
E’ morto nel gennaio del 1960 in un incidente automobilistico insieme al suo amico ed editore Michel Gallimard che era alla guida dell’auto. La moglie e la figlia dell’editore si salvarono. Nell’auto, sul sedile in cui era seduto, venne trovato il manoscritto incompiuto de Il primo uomo. In tasca aveva un biglietto del treno per Parigi. Per una terribile ironia della sorte, Camus aveva deciso di andare a Parigi in treno, quando Michel Gallimard gli aveva offerto un passaggio.
Albert Camus e Michel Gallimard in Grecia nel 1958
In un’intervista al BBC World Book Club, Olivier Todd, uno dei biografi dello scrittore, sostiene che Camus era molto arrogante ma anche pieno di dubbi. Molto talentuoso e molto incerto sul suo talento. Fondamentalmente un insicuro. Va bene, sarà stato un insicuro, ma molto determinato, visto che è stato capace di andare contro corrente e mettersi contro tutti.
Todd racconta della prima volta che lo ha incontrato in un bar di Parigi. Aveva vent’anni, si era sposato da poco e stava in un caffè di Place Saint Suplice, seduto a un tavolo con un amico e sua moglie che era molto bella. Camus, che abitava nella porta accanto in Rue Madame, è entrato, si è seduto al bar e si è messo a guardarla come se volesse spogliarla con gli occhi. Allora lui ha detto molto amabilmente:
“Chi si crede di essere questo coglione?”
E il suo amico: “Crede di essere Albert Camus!”