Fate conto che Tim Burton apra per un giorno le porte di una personale fabbrica di cioccolato. Una fabbrica fatta di gioia, voci, passione, e che la gente accorra incuriosita, entusiasta, vorace; fate conto che Tim Burton sia, in questo caso, Rafael Benitez, allenatore del Napoli, e che la sua fabbrica di cioccolato sia il San Paolo e che i giochi e la gioia siano i calciatori. Il giorno scelto è un semplice giovedì, in genere vissuto come ostacolo noioso tra l’inizio e il fine settimana: ebbene, per un semplice allenamento, ieri mattina, c’erano quindicimila persone, in buona parte studenti che hanno evitato di andare a scuola, attratti da Higuain, Mertens,Insigne, Callejon; poterli vedere gratis, nel backstage che oggi va tanto di moda, mentre preparano la partita vera con una simulata, o quasi, tornare a casa e raccontare ciò che viene vissuto come evento (forse non ai genitori) su Facebook, su Twitter, su Whatsapp; inondare di foto dei calciatori, dello stadio, degli amici, del pubblico con festosa incredulità già dagli spalti, in diretta, filmare l’incredibile folla di una mattinata ordinaria. Striscioni ironici contro la scuola, più seri contro il Verona, prossimo avversario, sventolavano radiosi. Molti della mia generazione hanno assistito agli allenamenti di Orlandini, Massa, Savoldi: in quel tempo c’era un quieto entusiasmo, perché abituati più o meno alla visione un po’ sonnacchiosa di partitelle insapori; invece adesso, anno di grazia 2014, dopo anni di recessione, di reclusione e di isolamento della squadra del Napoli nell’eremo di Castelvolturno, Benitez, riaprendo i cancelli, ha offerto agli occhi dei tifosi il corpo degli atleti e tattiche che in genere si vedono in televisione disegnate su campi di calcio digitali. Ad alcuni pare assurdo, grottesco che questi ragazzi abbiano occupato i Distinti, e adesso invocano sanzioni persino per il club. Ma la fabbrica di cioccolato dell’allenatore Benitez ha un buon sapore anche tra il cemento di uno stadio, le sue forme sono buone. E la libidine di entrare senza pagare, trovando cancelli spalancati come dentro una fiaba, è l’inizio della festa: la frenesia di salire i gradoni, di prendere posto, di vedere i calciatori nelle loro casacche feriali dà la sensazione di star guardando a uno spettacolo per pochi. Quindicimila persone per un allenamento sono la dimostrazione che il San Paolo possa diventare un nobile luogo dentro la città dove passeggiare, mangiare, oziare, comprare, andare a teatro o al cinema, salire sugli spalti di notte o di giorno, visitare il prato, calpestarlo proprio come fosse un monumento. La gioia per questa particolare fabbrica di cioccolato non deve diventare un’apparizione occasionale ma forse il piano di un nuovo modo di considerare un luogo che resta più tempo chiuso che aperto, imitando la città. Fonte: Davide Morganti per Il Mattino
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