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“l’ideologo di stato”: una biografia politica di alvaro garcia linera

Creato il 06 febbraio 2013 da Eurasia @eurasiarivista

Bolivia :::: Salvatore Rizzi :::: 6 febbraio, 2013 :::: Email This Post   Print This Post “L’IDEOLOGO DI STATO”: UNA BIOGRAFIA POLITICA DI ALVARO GARCIA LINERA

La vita dell’attuale vicepresidente della Bolivia tracciata nel segno della continuità teorico-politica marxista: dagli esordi nelle comunità rurali fino al governo del Paese in simbiosi con Evo Morales. Il sintetico profilo biografico di Alvaro Garcia Linera ricalca le orme di una Bolivia che, varcando il millennio, ha adottato un modello sociale multietnico fondato su una struttura economica social-sindacalista.

 
Garcia Linera nacque nel 1962 a Cochabamba, nel centro-sud della Bolivia, città dove è maggioritaria l’etnia dei quechua, che parla l’omonima lingua indigena e discende dal nucleo etnico più importante dell’Impero Inca. Il sottogruppo etnico di Linera, stanziatosi in Bolivia, rappresenta il più numeroso del Paese (1), superando per pochi punti percentuali gli aymara, insediatisi nei pressi del Lago Titicaca, e ora gruppo dominante nella capitale La Paz. Quella nella quale Linera è cresciuto è una zona a netta predominanza indigena, e dove è forte la persistenza delle tradizioni tramandate, nonostante l’affermazione, nei secoli, di una cultura economica, prima coloniale, e poi capitalista-liberista. Un aspetto, quello dell’importanza del consolidamento delle tradizioni secolari indigene, che marcò nettamente la formazione del Linera, futuro difensore dei diritti dei popoli autoctoni boliviani. Dopo gli studi superiori in Bolivia, Linera si trasferì in Messico per studiare matematica presso l’UNAM (Universidad Nacional Autónoma de México). Parallelamente agli interessi accademici, incominciò a formarsi sul piano politico leggendo i grandi classici del pensiero marxista e, in particolare, concentrandosi su Lenin e Gramsci. Soprattutto quest’ultimo fu  fonte d’ispirazione primaria per Garcia Linera, su quelle che sarebbero state le proprie specifiche teorie sui rapporti di forza necessari per un cambio di potere in chiave indigena. Come Gramsci, Linera condivideva la necessità di eliminare i blocchi corporativi delle classi subalterne, per liberarne le capacità di affermazione politica. Garcia Linera formò, già dal periodo universitario, la sua personale visione di un cosiddetto “indigenismo-marxista”, volto all’autodeterminazione indigena. Tuttavia, la politica di emancipazione indigena così come immaginata da Linera, attraverso un concentrato teorico eterodosso, non trovò ancore all’interno del teatro della politica istituzionale. <<En ese periodo hallé otra veta – disse lo stesso Linera, riguardo all’impossibilità di collimare i propri bisogni politici con le esigenze dei partiti – Encontré explicaciones a muchas cosas que no pude con la izquierda boliviana de la Unidad Democrática Popular (UDP), del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR), del Partido Socialista 1>>(2).

Le sue idee trovarono sfogo, pertanto, nei movimenti e nelle comunità parastatali indigene, nostalgiche ed evocative di un passato glorioso e florido. Il primo esempio di ciò fu l’organizzazione delle comunità di Ayullus Rojos, ideate da Linera assieme a Felipe Quispe nel 1985. Dal nome dato a questi insediamenti di contadini e minatori indigeni, si capisce facilmente come il fulcro del pensiero politico di Linera fosse sempre quello di affermare un socialismo di stampo etnico, dal marcato tratto indigeno. Ayullus è il nome delle unità familiari, sia quechua che aymara, del periodo Inca: la base istituzionale, quindi, della società precolombiana; Rojos è un chiaro riferimento al colore emblematico socialista e comunista. I gruppi di famiglie organizzate furono il primo esempio di fusione pratico-ideologica del marxismo con il katarismo, il movimento politico indigenista di autodeterminazione dei popoli boliviani, ispirato al rivoluzionario indigeno Tupaj Katari: un panettiere che nel 1781, alla testa di 40 mila uomini, cercò di conquistare La Paz per liberare la Bolivia dai colonizzatori spagnoli e finì giustiziato. Il movimento katarista boliviano attraversò varie fasi, nel corso della seconda metà del XX secolo: prima gruppo di pressione universitario per il bilinguismo ufficiale castigliano-aymara, poi forza politica organizzata contro le forze governative e leader del sindacato unitario dei contadini (il Csutbc); infine, diviso tra varie forze partitiche populiste o radicali fattesi portavoce del nazionalismo aymara. É proprio su quest’ultimo versante che Linera, abbandonata la via pacifica delle comunità sperimentali andine, diventò figura di spicco dell’Ejército Guerrillero Tupaj Katari (l’EGTK) fondato da Quispe, e nel quale Linera ricoprì il ruolo di ideologo. Il gruppo guerrigliero, dalla vocazione rivoluzionaria, ricalcò, in parte, la voglia che fu di Che Guevara di far cooperare il maggior numero di boliviani per una sollevazione generale, con lo scopo di portare al potere le classi lavoratrici più povere e più numerose nel Paese. Della guerriglia facevano  parte una galassia di piccole entità partitiche, di movimenti sociali e studenteschi, nonché di sigle sindacali minori. La presa sulla popolazione da parte dell’EGTK fu maggiore rispetto a quella che ebbe però il Che: la chiave di volta era l’indipendenza indigena, che a suo tempo Guevara non colse, sottovalutando l’aspetto etnico rispetto a quello economico e di classe. L’EGTK fu, quindi, oggetto della repressione dei governi boliviani, che si succedettero tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90: governi che nascevano con maggioranze allargate e senza una forte identità politica, se non quella di sposare un liberismo  che permetteva esportazioni danarose per le compagnie straniere. Il carcere toccò anche Linera: nel 1992, a seguito di un tentativo di sabotaggio di un palo elettrico nei pressi della capitale, venne arrestato con l’accusa di terrorismo e detenuto nel carcere di Chonchocoro per cinque anni. Nell’arco di tempo che intercorse prima della sua liberazione per prescrizione, studiò e conseguì una laurea in sociologia. Tornato libero, vinse una cattedra universitaria di sociologia e riprese a occuparsi di politica. Proprio in ambito accademico formò il gruppo di intellettuali “Comuna”, che si pose in netta antitesi con le idee neoliberali che stavano conducendo alla privatizzazione delle risorse naturali della nazione. È durante una rivolta contro la privatizzazione dell’acqua nel 2000, nel distretto nel quale era nato, che Linera iniziò a entrare in contatto con Evo Morales, dirigente allora affermato di Seis Federaciones del tropico di Cochabamba, sigla sindacale contadina in prima linea per l’emancipazione dei cocaleros. Linera, tuttavia, evitò di iscriversi subito al Movimiento al Socialismo (Mas), il partito che Morales portò, con l’alleanza al Movimiento Indigena Pachakuti di Felipe Quispe (Mis), a dare una svolta alla rappresentanza indigena in parlamento. Nel 2002, il Mas e il Mis si attestarono sul 22% dei voti, non vincendo per poco le elezioni che decretarono presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, espressione del Movimento Nazionale Rivoluzionario che aveva nazionalizzato l’estrazione dello stagno nel 1952 e che, mezzo secolo dopo, si era dato alla capitalizzazione dei giacimenti più disparati. In quel periodo, Garcia Linera non mancò di iniziare a farsi conoscere sotto un’altra veste, quella dell’opinionista, scrivendo su giornali e dibattendo in tv come opinion maker influente. Ma il passo decisivo a livello istituzionale non tardò ad arrivare. Solo tre anni più tardi, infatti, candidandosi su richiesta di Morales, Linera e il partito ottennero la vittoria elettorale più clamorosa nella storia della Bolivia. Trainato dall’incredibile fuga negli Stati Uniti di Lozada  - che aveva scatenato la rivolta popolare, dopo aver deciso di ristrutturare un gasdotto con il Cile verso il quale pendevano contenziosi per i confini –  il Mas ottenne il 53% dei voti, portando ai vertici della Bolivia due esponenti fondamentali alla causa indigena. Dal 2005, e poi ancora nel 2009 con una maggioranza ancora più schiacciante del 67%, Morales e Garcia Linera guidano il Paese, con quest’ultimo che ricopre la carica di ideologo e braccio destro del presidente. L’emancipazione politica degli indigeni raggiunta con il Mas ha avuto, ovviamente, risvolti importanti impensabili solo un lustro prima.

Dal 2009, la Bolivia è uno Stato plurinazionale che non si riconosce più in una sola lingua ufficiale e una sola comunità, ma dà valore giuridico, con relative protezioni, a un ampio numero di etnie, nuclei linguistici e tradizioni culturali. Morales e Linera hanno voluto inserire nella carta costituzionale una vera personalità giuridica per le comunità indigene: così facendo, queste ultime possono con diritto chiedere autonomie specifiche nel territorio in cui risiedono, fino a utilizzare norme tradizionali per dirimere questioni di diritto privato. Non solo, quindi, protezione delle tradizioni, ma salvaguardia del territorio, delle risorse naturali e del diritto di sfruttamento. L’istituzionalizzazione del potere indigeno ha (e avrà), per Garcia Linera, la forza di rompere i vecchi vincoli di potere e sfruttamento delle comunità andine.

Il concetto gramsciano di egemonia del potere è stato declinato sul paradigma indigeno e aggiornato da Linera, che ha posto lo Stato come alleato delle classi subalterne per rivoluzionare il processo produttivo dei latifondi e, conseguentemente, portare nelle mani degli indigeni il potere economico necessario per imporre quello politico. Ma lo Stato boliviano, secondo lo stesso Linera, deve essere tutt’altro che di stampo sovietico: un Moloch burocratico dal potere vitale sui cittadini.

Con l’esempio dell’ascesa di Garcia Linera e delle mutate prospettive su un futuro legato al nuovo verbo socialista,  si può facilmente intendere come il nuovo corso ha trasformato la Bolivia in un Paese geopoliticamente non allineato con i dettami della macroeconomica occidentale, e le mosse decise ne fanno un attore dal ruolo ben definito nel teatro regionale sudamericano. La nuova nazionalizzazione di quasi tutte le risorse naturali (idrocarburi e petrolio su tutte) comporta una forte accentuazione statalista nella conduzione economica, che allontana in proporzione diretta gli investimenti privati. Che la penetrazione sia forte si intuisce anche dal ruolo sindacale che ricopre lo Stato boliviano nella risoluzione di controversie aziendali e, in questo, la figura di Linera spicca: l’esempio dell’esproprio di un giacimento di stagno a una compagnia svizzera è eloquente (3). L’adesione al progetto cooperativo Alba (4), inoltre, ha tracciato in modo marcato i confini regionali entro cui si muove la politica estera boliviana e i partner con cui Morales e Linera vogliono intrattenere relazioni (il Venezuela in primis, essendo il suo maggior Stato creditore), a discapito dei rapporti con gli Stati Uniti. Quest’ultimi si sono deteriorati già dal 2008, con la fine degli accordi di preferenza tariffaria doganale, a causa delle discordanze sulla lotta al traffico di cocaina. Tali relazioni vivono un’altra fase di tensione da quando, sempre Linera, ha denunciato con toni forti la protezione statunitense all’ex presidente Lozada, processato in Bolivia in contumacia con l’accusa di genocidio (5).

Visto il successo del Mas, la riconferma del partito indigenista alla guida del Paese alle prossime elezioni del 2014 appare più che probabile; e visto che Morales passerà il testimone, il più accreditato a succedergli pare proprio essere Garcia Linera. Le politiche fondamentali saranno per logica le stesse che hanno contraddistinto finora il Mas (uguaglianza sociale, lotta al neoliberalismo con una conduzione statalista dell’economia), ma il prossimo quinquennio dovrà essere il banco di prova sulla resistenza dello Stato integrale, tanto agognato dall’attuale vicepresidente. L’imprescindibile dialettica tra apparato politico e popolazione per la conduzione solidale della macchina statale riuscirà a cristallizzarsi e mantenere quell’equilibrio datogli da questi anni di potere Morales-Linera? L’adattamento di Gramsci in terra andina dovrà mutare forma quando il popolo indigeno chiederà, oltre  a quella politica, anche una emancipazione economica più netta? Quando il contadino quechua o aymara, raggiunta una stabilità economica, chiederà la proprietà di una vasta terra, e non solo la sua solidale ridistribuzione imposta?

*Salvatore Rizzi, dottore in Scienze della Politica e corrispondente per il quotidiano Latina Oggi

 
NOTE:

(1) https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/bl.html, le stime dell’intelligence americana descrivono una presenza indigena nel 60% del totale del paese: 30% quecha, 25%, aymara, 5%, guarnì e chiquitano.

(2)  http://pepitasnews.blogspot.it/2012/04/biografia-de-alvaro-garcia-linera-por.html: <<In quel periodo ho trovato un’altra vena. Ho trovato le spiegazioni per molte cose che non ho potuto con il partito boliviano di sinistra Unità Popolare Democratica (UDP), il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria (MIR), il Partito socialista 1>>

(3) http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2012/06/20/APJaaVlC-svizzera_espropriata_miniera.shtml

(4) http://www.eurasia-rivista.org/che-cosa-e-lalba-1/15738/

(5)http://www.la-razon.com/suplementos/Reportajes/Garcia-Linera-EEUU-criminales-masacre_0_1707429303.html


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