*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***
Siamo tutti un po’ esuli (4,5 stelle)- Qualcuno lo ha definito un “romanzo-saggio”.
Definizione azzeccata direi. La storia è intervallata da considerazioni filosofiche, che se da un lato aiutano a capire il messaggio che Kundera vuol dare coi personaggi, dall’altro raffreddano un po’ la narrazione.
Il libro nel complesso mi è piaciuto, ho sottolineato una grande quantità di concetti che ho reputato veritieri e interessanti, tuttavia non mi ha emozionata eccessivamente, forse perchè l’argomento trattato riguarda la mia vita solo in modo periferico. Però mi ha spinta a pormi delle domande: Qual’è la nostra casa? Casa è dove siamo nati e cresciuti? Dove ci sono i ricordi? Dove ci sono coloro che amiamo? Dove siamo stati felici? Dove abbiamo l’indipendenza? Dove siamo liberi? Non ho trovato le risposte.
Il tema principale è l’esilio e la nostalgia che da esso deriva o dovrebbe derivare. L’autore ci propone subito una spiegazione del titolo da un punto di vista culturale-etimologico analizzando varie lingue.
Se si prende il significato etimologico della parola nostalgia in spagnolo añoranza deriva dal catalano enyorar che deriva dal latino ignorare, “ Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza “ (cit. pag.12).
Comunque al di là dei significati grammaticali, alla luce della lettura del libro, io mi sento di dare una valenza duplice alla parola ignoranza: una relativa al provare nostalgia per il non sapere cosa succede dove presumo aver lasciato il mio cuore, l’altra relativa all’adolescenza, a quel periodo della nostra vita in cui ignoriamo la nostra vera essenza e compiamo delle azioni di cui ci pentiremo quando la consapevolezza l’avremo raggiunta. Il tempo cambia le priorità, scelte fatte vent’anni fa improvvisamente non hanno più senso.
Il pregio maggiore di questo romanzo è a mio parere la capacità sintetica di Kundera. Lo scrittore è capace di esprimere concetti in modo chiaro, di riassumere un secolo di storia in poche righe, di porre l’attenzione su considerazioni apparentemente banali che viviamo come ovvie ma che leggendole pensiamo "è vero!".
Ciò in cui mi sono più ritrovata è il bisogno di raccontare di chi è stato in esilio, la necessità di far partecipi della propria vita coloro che si sono lasciati e che non abbiamo visto per molti anni. Materialmente io non ho vissuto l’esilio, ma la necessità di raccontarsi a chi vive un’esistenza diversa dalla mia l’ho vissuta ugualmente, così come ho vissuto il rifiuto delle mie nuove realtà da coloro con cui avevo condiviso quotidianità diverse. Perchè in fin dei conti tutti siamo degli esiliati, tutti facciamo scelte che ci esiliano alla fine da ciò che siamo stati e da coloro con cui abbiamo vissuto esperienze. A chi non è capitato di fare una rimpatriata con i compagni di scuola e ti ritrovi a non avere più niente in comune? Solo ricordi, e i discorsi non vanno verso la conoscenza del presente, bensì verso il passato, verso la memoria comune... A nessuno interessa conoscerti e sapere di te.
Le considerazioni finali sono amare e portano ad una inevitabile solitudine di tutti i protagonisti. Ognuno di loro per per motivi diversi rimane da solo, chi viene rifiutato per quello che è (Irena) chi si auto esclude perché non accetta una parte di sé (Milada) e chi forse per paura o per una sorta di autopunizione decide di rifugiarsi nel passato, nella certezza dell’amore per la moglie morta (Josef).
Un po’ meglio va ai personaggi di contorno che forse per la loro maggior superficialità riescono a trovare un accomodamento sereno, banale, ma non infelice (Gustaf e la madre di Irena).
Kunderà non è caritatevole con i suoi figli di penna, li adopera come marionette, ne tira i fili allo scopo di esplicare i suoi pensieri, ce li presenta e poi li lascia alla loro vita, soli.
Citazioni:
“ Aveva sempre dato per scontato che la sua condizione di esule fosse una sciagura. <...> Forse leggeva la propria vita sulla base di istruzioni per l’uso che altri le avevano fatto scivolare in mano.”
“...non appena le sue parole si allontanano dal centro delle loro preoccupazioni, nessuna l’ascolta più.”
“...il paradosso matematico della nostalgia:essa è più forte nella prima giovinezza, quando il volume della vita passata è del tutto insignificante.”
“...pensano di essere legai dalla stessa esperienza, dagli stessi ricordi. Gli stessi ricordi? E’ qui che comincia il malinteso: non hanno gli stessi ricordi; del passato, a entrambi sono rimaste impresse due o tre situazioni particolari, ma non le stesse, i loro ricordi non si somigliano; non collimano;...”
“ Qui ho sempre l’impressione che vogliano amputarmi vent’anni di vita.”
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