Ci sono dei momenti in cui questo blog mi sembra bellissimo e il tempo speso a scriverci su tempo ben speso.
Sono rari, ormai, ma ci sono ancora.
Letto?
Bene, perché è essenziale per capire la qui presente riflessione.
È una teoria molto interessante che, se vogliamo, si sposa con la tradizione biblica, da una parte - l'uomo immagine e somiglianza di Dio - e classica dall'altra: faber est suae quisque fortunae.
Che, radicalizzata, si può interpretare come siamo ciò che immaginiamo di essere.
Un giorno, da bambini, ci svegliamo con l'idea di diventare astronauti e, talvolta, alcuni di questi bambini, quarant'anni dopo, si ritrovano in orbita nella stazione spaziale internazionale.
Molto affascinante.
Specie se si pensa a quante volte si attribuisce alla fantascienza la capacità di anticipare, con le sue visioni del futuro, il nostro futuro stesso.
Ne consegue che, prendendo in esame William Gibson, il nostro presente è una merda perché lui l'ha immaginato tale:
schiavi delle megacorporazioniuomini ridotti a codici a barre
inquinamento
sovrappopolazione
E tutto quello che di nefasto ha potuto immaginare.
Mi viene in mente anche Orwell e il Grande Fratello, e un'immagine satirica che trovai tempo fa su tumblr. La didascalia riportava questa frase: Orwell, quando ha scritto 1984, voleva darci un avvertimento, non un fottuto libretto d'istruzioni!Ma, di fatto, 1984 è stato considerato un libretto d'istruzioni. E potrei continuare per ore. Avete presente Essi Vivono? È bene indossare gli occhiali giusti, potremmo vedere il mondo per ciò che è davvero.
La diffusione in forma stampata e multimediale delle idee di pochi uomini, idee penetrate nell'immaginario collettivo, ha determinato il nostro presente.
Questo, il postulato.
Così che, oggi, da volontarie cavie, ci sentiamo perduti se, per caso, veniamo disconnessi dal sistema: se il nostro smartphone si rompe, se la nostra carta di credito non funziona, se i nostri dati su un qualunque database non vengono riconosciuti. Precipitiamo nel panico, come se fossimo perduti nel bosco. Piccole, pavide creature che si angosciano per problemi che non sono reali.
Agghiacciante.
E le cose non sembrano migliorare. Naturalmente, stessa idea può estendersi e applicarsi a ogni campo della nostra esistenza, anche in piccolo.
Siamo talmente persuasi del fatto che in Italia ci siano solo mafia, malcostume e corruzione, da non riuscire a fare a meno di questi aspetti deteriori. Probabilmente fino ad averli, in qualche modo, favoriti.
Non fermiamoci, prendiamo a esempio il mio campo di interessi/lavoro: la narrativa.
La narrativa italiana è una palude putrescente infestata da uomini-rospo che la governano con pugno di ferro e granitica ignoranza.Questo dicevamo anni fa, quando ancora i fermenti del cambiamento possibile serpeggiavano online, quando ancora si pensava che la rivoluzione potesse partire da piccoli blogger, prima che alcuni di questi entrassero nelle schiere degli uomini-rospo.
Questa distopia è diventata realtà. Una realtà così forte da non lasciare spazio ad alcuna alternativa.
Certo, è assurdo, fa quasi paura pensare che le idee possano influenzare la realtà, ma... ehi, è questo che noi esseri umani facciamo, da che abbiamo scoperto il fuoco.
Una notte tempestosa, eoni fa, un fulmine colpì un albero, dandogli fuoco. Ci venne l'idea di riprodurre il fenomeno.
Il fuoco sarebbe stata una buona arma, un utensile... una rivoluzione.
Per qualche ragione, invece, tanti anni fa, di sicuro prima ancora che io nascessi, qualcuno ha pensato alla distopia-Italia come a una buona idea. Un paese di analfabeti funzionali, schiavi delle macchine, incapaci, letteralmente, di fare due più due.
Certo, la maggioranza... non sono mica tutti così! E vi sembra una cosa di cui vantarsi?
L'alternativa c'era.
C'è sempre un'alternativa.
Ma all'epoca non l'abbiamo vista, sedotti dal fascino della distopia.
Perché ammettiamolo, la distopia, a livello narrativo, ha molto più fascino. Proprio come il Lato Oscuro della Forza, è più veloce.
Certo, è più difficile e forse dà persino più soddisfazione immaginare un futuro positivo, di una specie umana soddisfatta e potente, libera, costruttiva, felice. Ma è anche lento e noioso.
Fin dai tempi del Paradiso Terrestre, il complicarsi la vita introducendo elementi di destabilizzazione ha fatto parte della nostra esistenza ciclica.
È da un bel pezzo che scrivo, in mezzo ai miei articoli, che ormai viviamo in piena distopia. Che alcuni aspetti del nostro presente sono talmente folli da sembrare il frutto di una mente narrativa perversa.
Viviamo nella crisi e nella sfiducia assoluta che essa possa finire. Non ci fidiamo di chi ci governa, sappiamo che l'alternativa è anche peggiore, ma non riusciamo a proporre un cambiamento uno, accettiamo supini (o proni) che le cose vadano a scatafascio.
È ineluttabile.
È da quando si parlò, per la prima volta, di buco nell'ozono e di surriscaldamento globale che il fascino della catastrofe, della Sunblock 5000, la crema protettiva di RoboCop, che ci avrebbe trasformato in puffi pur di esporci al sole della California che quel futuro, così orribile, s'è sedimentato nella nostra coscienza, e ci ha spinto a farlo diventare reale.
È la teoria della profezia autoavverante. Viene soddisfatta grazie all'indole umana. Dal pensiero. Dall'idea.
Sono diventato uno scrittore ben sapendo che avrei campato di stenti, in un mondo ostile, circondato da pubblico per lo più indifferente.Anni dopo, la mia profezia s'è avverata.
E ancora, vogliamo proprio finire in Fahrenheit 451, in una realtà dove i libri vengono odiati per il solo fatto che esistono.
Ops... ci siamo quasi. Meglio guardarsi un film.
L'unico vantaggio è che me ne sono accorto. E questa situazione, per quanto affascinante da un punto di vista narrativo, mi va un pochino stretta. Quindi ho cambiato idea. Sogno un futuro migliore.
Arriverà.
Devo solo aspettare. I want to believe.
E, nell'attesa, sarebbe bello che alcuni di voi la pensassero come me. Chissà che non facciamo una volta tanto la differenza.