I cambiamenti culturali e tecnologici hanno portato l’uomo ad un modo diverso di rapportarsi al moderno che non è quello dell’opposizione (antimoderno) o quello del superamento (ultramoderno), come spiegato nel libro Il Postmoderno di Chiurazzi, bensì è quello del postmoderno. Il postmoderno si differenzia dalla modernità in quanto in quest’ultima possiamo trovare atteggiamenti come il superamento e la contrapposizione critica, invece il postmoderno è un modo di essere che consegue ad una consumazione interna della modernità, i cui tratti vengono piuttosto nichilisticamente deformati o attenuati, indeboliti. Abbiamo fenomeni tecnologici che rendono sempre più effimero il peso della realtà, l’illusione materiale della realtà, il fatto che ogni cosa si ritiri dietro la proprio apparenza e non sia mai identica a se stessa; di come gli effetti della simulazione determinano nel mondo contemporaneo la scomparsa del reale a favore di una paradossale iperrealtà e di un annullamento dell’illusione a opera delle nuove tecnologie dell’informazione, della televisione, della pubblicità, e della realtà virtuale.
Come sottolinea il filosofo francese Baudrillard (già citato nel primo episodio) l’illusione può essere soggettiva, cioè l’illusione del soggetto che sbaglia realtà, che confonde l’irreale dal reale, o oggettiva, è il fatto fisico che nessuna cosa coesiste con un’altra in tempo reale (il tempo reale non esiste) .
Un confine sempre più invisibile quello che oggi (non)divide realtà e sogno, vero e falso, esistente e virtuale; qualcuno riteneva le tecnologie moderne delle “estensioni dell’uomo”, ciò che invece Jean Baudrillard considera delle “espulsioni dell’uomo”. Parliamo di tecnologie da noi intese come strumento di un mondo che crediamo di dominare, mentre sono loro ad imporsi su di noi.
Prendiamo ad esempio il film Matrix (Wachowski, 1999) in cui un programma di “neurosimulazione attiva” illude le menti degli esseri umani di vivere una vita normale, c’è quasi una supremazia delle macchine sull’uomo, del virtuale sul reale.
Potremmo parlare di un mondo disincantato come direbbe Weber, di un mondo che ha perso il suo senso magico, in cui non contano tanto gli ideali, i valori o le passione ma l’efficienza dei mezzi adottati rispetto agli scopi prefissati. È così che nel mondo della fine della metafisica diventa impossibile parlare della verità .
Chiuso nelle proprio illusioni l’uomo è forse diventato un “uomo a una dimensione” a cui il progresso tecnologico ha prodotto una generale negazione della libertà. Marcuse direbbe “una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà”, anche la libertà diventa apparenza.
Prendiamo in esempio il film The Truman Show (1998) di Peter Weir: il protagonista Truman abita a Seahaven Island, lavora in un’agenzia assicurativa, ha un grande amico Marlon ed è sposato con Meryl, peccato che non sa che la sua vita è un grande reality show. Truman si trova prigioniero di un mondo fittizio, ma nel corso del film riesce a capire la finzione e il suo destino si gioca tutto nel dialogo finale tra lui e Christof, il dio-architetto del reality:
Christof (parlando dal cielo del set): “Truman… Parla… Ti Ascolto”.Truman: “Chi sei tu?”.
Christof: “Sono il creatore di uno show televisivo che dà speranza e gioia ed esalta milioni di persone”.
Truman: “E io chi sono?”.
Christof: “Tu sei la star”.
Truman: “Non c’era niente di vero…”.
Christof : “Tu eri vero. Per questo era così bello guardarti… Ascoltami, Truman: là fuori non troverai più verità di quanto non ne esista nel mondo che ho creato per te: le stesse ipocrisie, gli stessi inganni; ma nel mio mondo, tu non hai niente da temere. Io ti conosco meglio di te stesso”.
Truman: “Non ho una telecamera nella testa!”.
Christof: “Tu hai paura. Per questo non vuoi andare via. Sta tranquillo: ti capisco. Ho seguito ogni istante della tua vita, ho seguito quando sei nato, ho seguito quando hai mosso i tuoi primi passi, ho seguito il tuo primo giorno di scuola, il momento in cui hai perso il primo dentino… Come fai ad andartene?!”.
(…)
Christof: “Il tuo posto è qui … (…) con me. Parlami. Dì qualcosa. Accidenti, Truman, Cristo! Vuoi parlare? Sei in televisione sei in diretta mondiale!”.
Truman: “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e buona notte… Ah, ah! Già”. (Dopo aver fatto un inchino, attraversa la porta per uscire finalmente dal set).
Il regista addolcisce il finale dando la possibilità a Truman di scegliere: se restare all’interno del reality o essere libero e affrontare la realtà. Ma davvero noi oggi possiamo scegliere se essere liberi o meno? O siamo semplicemente illusi di esserlo? “Là fuori non troverai più verità di quanto non ne esista nel mondo che ho creato per te” dice Christof, cercando di convincere Truman a restare. Ma il problema in questa scena finale non è tanto sapere se la libertà esiste in una “veritiera realtà” ma è la possibilità di scegliere. “Dato che non possiamo cogliere contemporaneamente la genesi e la singolarità dell’evento, l’apparenza delle cose e il loro senso, bisogna scegliere: o dominiamo il senso, e le apparenze ci sfuggono – o il senso ci sfugge, e le apparenze sono salve” (cit. Baudrillard).
Scegliere come ha fatto Neo, il protagonista di Matrix, quando Morpheus cerca di spiegargli cos’è Matrix e alla fine gli offre la libertà di scegliere.
Morpheus: “È’ la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio.
Dopo un incrocio di inquadrature tra Neo e Morpheus continua: “Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo! Niente di più”.
Usando le parole del filosofo del delitto perfetto Neo ha scelto di dominare il senso, facendo sfuggire le apparenze. Magari la scelta di essere liberi o di vedere la verità e la realtà fosse così semplice come ingoiare una pillola.
Valentina Leone