L’Ilva e l’inferno di Taranto: intervista a Daniela Spera.

Creato il 01 maggio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

L’Ilva, i suoi camini e il fumo denso che sale verso l’azzurro del cielo pugliese hanno trasformato la città di Taranto in un luogo di morte, dove le malattie e i tumori incombono sul futuro dei cittadini. Daniela Spera ha preso in mano le redini di questa battaglia contro il mostro di acciaio, portando alla luce dati che fanno paura. La sua storia è stata raccontata dalla giornalista Cristina Zagaria nel libro Veleno, edito dalla Sperling & Kupfer. Ho avuto la fortuna di poter rivolgere alla dottoressa Spera alcune domande con lo scopo di far conoscere a più persone possibili la realtà dei fatti.

Com’è iniziata la sua battaglia?

La mia battaglia è cominciata perché notai un video nel quale veniva mostrato l’abbattimento di un intero capo di bestiame poiché contaminato da diossine. Rimasi molto colpita da quel video soprattutto perché l’allevatore individuava un colpevole: l’Ilva di Taranto. Così ho cominciato a documentarmi costantemente, a raccogliere storie, per capire cosa davvero stesse accadendo a Taranto. Il mio lavoro mi ha permesso di entrare in contatto con le storie delle famiglie, con diversi casi di patologie tumorali: sono in effetti un’osservatrice privilegiata, svolgendo una professione sanitaria.

Quali sono i dati più preoccupanti che è riuscita a far emergere?

I dati più allarmanti che ho avuto modo di osservare e che sono stati confermati dalla perizia epidemiologica riguardano le incidenze e mortalità di patologie tumorali nei bambini. Quando ad essere colpiti da patologie neoplastiche sono i bambini significa che siamo oltre una situazione di rischio o di allarme, significa che c’è una inequivocabile componente ambientale che genera una vera e propria strage. In questo caso ci si trova di fronte ad una emergenza sanitaria che impone interventi immediati ed efficaci per fermare – e non per ridurre – l’inquinamento in atto.

Casale Monferrato e Taranto: due realtà molto vicine. Perché in Italia si muore per questi motivi?

Nel nostro paese non esiste la cultura del rispetto della vita. La priorità è la produzione ad ogni costo, il profitto a discapito della qualità della vita. In questa maniera si diventa ostaggi di un’azienda che si avvale di una potentissima arma: il ricatto occupazionale.

Come si concilia il diritto al lavoro e quello alla salute? I Tarantini come hanno reagito davanti alla possibile chiusura dell’Ilva? Credo che il referendum snobbato pochi giorni fa sia un segnale forte.

Il diritto alla salute viene prima di ogni cosa, non si può scegliere se accettare dei decessi in cambio di un misero stipendio. Non si dimentichi che gli stessi operai sono vittime del loro stesso lavoro e allo stesso tempo provocano la morte dei propri cari. Nel libro Veleno questo aspetto è descritto molto bene ed emerge in maniera prepotente.

La maggior parte dei Tarantini rifiuta l’attuale sistema industriale che annienta il proprio territorio e nonostante la scarsa affluenza alle urne – che ha impedito il raggiungimento del quorum -, in occasione del Referendum per la chiusura totale o parziale dell’Ilva, la percentuale di coloro che hanno votato per il ‘Si’ (chiusura totale o chiusura parziale della sola area a caldo) è stata nettamente superiore rispetto al ‘No’ e questo è senza dubbio un segnale forte. Gli astenuti forse hanno subito il ricatto occupazionale.

Secondo lei quale sarà il futuro di Taranto?

Difficile pensare al futuro di Taranto. Posso solo dire ciò che vorrei per Taranto: la chiusura dello stabilimento Ilva e di tutte le aziende inquinanti che insistono sul nostro territorio, bonifica e rilancio dell’economia locale.

La sua storia è stata raccontata nel libro Veleno. Come ci si sente a essere la protagonista di un libro?

In realtà non mi sono soffermata molto su questo aspetto. Essere protagonista di un libro per me è solo l’occasione per parlare di Taranto, per offrire un esempio di battaglia civile, attraverso la mia storia che ha in effetti coinvolto molti altri Tarantini ed è questo l’aspetto più importante. Ora vorrei che la mia battaglia fosse anche un esempio per tutta l’Italia.

Che cosa vuol dire convivere con la presenza della morte? Non ha paura di rientrare anche lei nel numero delle vittime dell’Ilva?

La presenza della morte e il timore di ammalarsi a Taranto sono molto vivi. C’è chi accetta con rassegnazione, c’è chi invece reagisce, io faccio parte di quel piccolo gruppo di persone che ha deciso di lottare.

Anch’io ho il timore di ammalarmi, ed è per questo che lotto senza sosta, perché voglio portare a termine ciò che ho cominciato, prima di diventare vittima.

Ringrazio la dottoressa Daniela Spera per l’intervista.

Articolo di Alessandra Coppo.


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