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>>L’ILVA riparte. E se il futuro sarà come il passato?

Creato il 01 dicembre 2012 da Felice Monda

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L’ILVA non chiuderà. Ormai questa è una certezza. Con un decreto del governo di oggi l’impianto siderurgico si salverà. Tuttavia sorgono dei dubbi. Il rischio che si ricrei il dramma del passato è possibile. Ossia che il profitto surclassi la tutela dell’ambiente, portando così ad un ulteriore aumento dei rischi per la salute degli operai e dei cittadini tarantini. Bisognerebbe interrogarsi su come si è arrivati a questo punto, ma in pochi lo vogliono fare.

IL DECRETO DEL GOVERNO - «Non possiamo permetterci di dare un’immagine dell’Italia dove non sia possibile conciliare la tutela dell’occupazione e il rispetto della magistratura, la tutela dell’ambiente e la produzione dell’acciaio», ha detto il presidente del Consiglio, Mario Monti. E’ per questo che ieri è stato organizzato un incontro tra i Ministri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente, del Lavoro e della Salute, i sindacati, gli amministratori locali, i rappresentanti dell’Ilva e il Presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido. Si è discusso del contenuto deldecreto che consentirà la riapertura dell’impianto siderurgico pugliese e la conseguente ripresa dell’attività e che approderà venerdì in Consiglio dei Ministri.

Obiettivo dovrebbe essere quello di bilanciare due contrapposte posizioni che lo stesso Ministro Clini individua nel «tenere assieme la protezione della salute degli abitanti di Taranto e la difesa di migliaia di posti di lavoro senza i quali il quadro sociale può diventare drammatico». Perciò per 24 mesi, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, l’ILVA potrà proseguire le sue attività industriali, vista anche l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) concessale – ingiustamente -.

Quindi, è evidente come l’intenzione del governo sia quella di salvaguardare la produzione di acciaio e i posti di lavoro e di avviare un risanamento della fabbrica, evitando un danno stimato di 8 miliardi euro all’anno. Ma i proprietari dell’ILVA troveranno abbastanza soldi per fare entrambi? Ricordiamo che gli aiuti di stato sono vietati dall’Unione Europea e che quindi l’Italia non potrà intervenire in questo senso.

TORNARE A FIDARSI? – Ormai perciò è fatta. L’ILVA tornerà a produrre e in 24 mesi gli impianti a caldo verranno risanati (come secondo la bozza di decreto) per garantire la produttività e la tutela della salute e dell’ambiente. Eppure, è corretto sollevare alcuni dubbi che sorgono spontanei adun’analisi critica di quanto sta accadendo.

La questione primaria è relativa alla tutela della salute e dell’ambiente. Poiché, dopo quanto accaduto, non è facile riporre completamente la fiducia nelle istituzioni statali e nella politica, le stesse che dovranno controllare il corretto risanamento di Taranto e dell’impianto industriale. Come fidarsi di Ministri che non riconoscevano il dramma umano e ambientale che si stava trascinando fino a poche settimane fa? Come fidarsi di una politica a cui da anni viene denunciato che sarebbe arrivato, per l’ILVA, il giorno dell’insostenibilità sociale ed ambientale? Le responsabilità sono esattamente queste:l’inerzia, il lassismo se non una diffusa collusione di chi avrebbe dovuto tutelare. Unica a salvarsi è la magistratura, che ha fatto il suo corso. La società civile e la cittadinanza attiva dovranno controllare se tutto verrà fatto come nei termini che il decreto imporrà. Purtroppo, i presupposti della vicenda fanno già intendere che non tutto potrebbe andare come dovrebbe.

L’ILVA NON DEVE CHIUDERE – Per una questione di chiarezza va anche analizzato il modo in cui si è deciso di riaprire lo stabilimento: in fretta e furia ed avendo fatto di tutto per evitare i sigilli. Infatti, con la riapertura viene anche dato un messaggio di incredibiledebolezza dello Stato italiano. L’economia richiede che l’ILVA non chiuda i battenti, nemmeno per un minuto, non tanto per la giusta necessità di salvaguardare i posti di lavoro. Ma perché questa industria è fondamentale nell’export italiano in tutto il mondo: è una pedina troppo importante nello scacchiere del mercato globalizzato. E poco importa se l’ambiente ne verrà meno insieme alla salute dei cittadini Tarantini.

Forse per poter analizzare a fondo ciò che è accaduto, andrebbe ricostruito come si sia creato questo debito sociale ed ecologico, per poterlo evitare in futuro. Ma nessuno si è posto la questione di dover affrontare un problema simile in futuro.

di Stefano Vito Riccardi - http://dailystorm.it


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