Ho letto, anzi ho divorato, L’imbalsamatrice di Mary B. Tolusso (Gaffi Editore, 18 €) con il sorriso sulle labbra e l’ho chiuso a malincuore.
È la storia di N. così descritta da una sua amica: “alta, capelli castani, se è calma ci puoi addirittura parlare”. Lavora come apprendista presso le Pompe Funebri Benevenuti, il cui slogan è “Non è mai tardi per farsi belli”. Il suo compito, sotto la guida paziente e accogliente del suo capo Diego, è quello di preparare i morti all’estremo saluto dei parenti. Maneggia i cadaveri, li forza nelle “giuste” posizioni, li svuota e li riempie, li imbelletta con grande disinvoltura e semplicità. Non ci risparmia niente. Descrive gli odori e i colori della putrefazione, il liquame nerastro in cui si trasformano organi, viscere ed encefalo quando un cadavere “si guasta”, i prodotti che assorbono i liquidi che si depositano a fondo bara, il contatto con gli escrementi, che sono “l’unico indizio di una dimensione interiore degli uomini”. E anche le difficoltà con alcuni dei suoi clienti, come mr. Parkinson “così legnoso che si potrebbe usare per accendere il caminetto”. O la ricostruzione delle cartilagini in chi ha subito traumi che è un po’ come “infilare le perline nelle bomboniere”.
Non manca una breve carrellata tragica, ma anche divertente, sui familiari dei defunti che si rivolgono all’impresa per decidere il trattamento estremo dei propri cari, il cui dolore a volte lascia spazio al disappunto per i costi.
Parla coi cadaveri, N., si confida con loro mentre li fa belli. Ma è anche circondata da un gruppo di vecchie amiche sempre pronte, nonostante screzi e conflitti, ad ascoltare e a venirsi reciprocamente in aiuto.
Fuori del lavoro ci appare in bilico tra il desiderio, talvolta l’urgenza, di corpi femminili, spesso consumati in rapporti brevi e deludenti, e l’amore per un uomo. Si percepisce in lei l’intenzione di esorcizzare la morte e di imbalsamare anche se stessa, per non entrare in contatto con le proprie emozioni e non pensare al mondo fuori, noioso e arduo. Molto presente il tema dell’abbandono legato sia alla morte di persone care che alla fine di amori e amicizie.
Sullo sfondo una Trieste-non-solo-bora. Una città che ti mantiene sul cucuzzolo di un qualche disagio emotivo: “se ti fermi sogni di andartene, se te ne vai sogni di ritornarci”. “La sua salvezza risiede nell’infinita devozione al piacere dei suoi cittadini, che sono avidi di cibo e di sesso e purtroppo soffrono anche di manie deleterie come il footing, il body building, lo yoga e il pilates”. E qui non posso che condividere…
Il finale è sorprendente non soltanto per gli avvenimenti descritti, ma soprattutto per l’evoluzione della protagonista: “forse sto solo imparando a provare affetto, perché non è la stessa cosa, essere innamorati e volere bene, non è affatto la stessa cosa”.
Lo stile è secco, scorrevole, la scrittura è meticolosa, accurata e mai banale. Gli incontri con il sesso e con la morte sono raccontati con ironia e un pizzico di cinismo, ma in modo garbato, mai gratuito né volgare.
Non posso non citare il malizioso calendario allegato al libro con foto di donne ammiccanti e di bare, e il booktrailer che potete trovare su youtube.
Concludo dicendo che è stata una lettura ricca, divertente e interessante, sia per il piglio ironico e beffardo, ma mai irrispettoso, che per gli spunti di riflessione che offre a chi come me passa ore e ore lavorative a parlare di morte, del prima, del come, del dopo. Da non perdere.