Magazine Cultura
Il mio amore, la mia passione, la mia riconoscenza per Vladimir Nabokov è di lunga data. Avevo da poco cominciato l'università, ero innamorato (riccioli neri), quando in una trasmissione radiofonica di Radio Tre, Terza pagina, (chi era il conduttore già? Forse Alberto Castelvecchi divenuto poi un pregevole editore) venne recensita la nuova edizione de The Real Life of Sebastian Knight, edita da Adelphi. Mi precipito in libreria, e fu devozione.Adelphi ha pian piano riedito il pubblicabile di Nabokov. Tra l'altro i riccioli neri abitavano a due passi dalla tomba ove è sepolto l'écrivain con accanto la moglie Véra. Io ho guardato per molti anni (anche quest'anno) gli stessi panorami, gli stessi tramonti, percorso le stesse passeggiate au bord du lac di colui che, nell'Iperuranio, è lo Scrittore.Non sono un feticista nabokoviano, per carità: l'amore sta al feticismo, come la libertà alla schiavitù. Il mio è un bene tranquillo, come quello che può tributargli un nipotino che balbetta sillabe incerte di fronte alla lingua della perfezione.Da pochi giorni, dopo tanti anni che l'aspettavo (l'avevo solo letto in una brutta edizione degli Oscar Mondadori presa in biblioteca nella, non so quanto fedele, traduzione di Giovanni Giudici) è stato ripubblicato Speack, memory (Parla, ricordo, a cura di Anna Raffetto, traduzione di Guido Ragni). Sentite qua che attacco, sdraiatevi, sperate che il cielo sia sereno e che la luna offra una luce da sogno:
«La culla dondola sopra un abisso e il buonsenso ci dice che la nostra esistenza è solo un breve spiraglio di luce tra due eternità fatte di tenebra. Sebbene siano una coppia di gemelli assolutamente identici, l'uomo, di regola, guarda all'abisso prenatale con più calma rispetto a quello verso cui è diretto (a circa quattrocentocinquanta battiti cardiaci l'ora) […]La natura si aspetta che l'adulto accetti i due neri nulla, a prua e a poppa, con la stessa imperturbabilità con cui egli accetta le straordinarie visioni intermedie. L'immaginazione, delizia suprema dell'immortale e dell'immaturo, andrebbe tenuta a freno. Per goderci la vita, non dovremmo godercela troppo.A un tale stato di cose io mi ribello. Sento l'impulso di portare la ribellione all'esterno e di fare un picchettaggio nei confronti della natura. La mia mente ha fatto sforzi immani e reiterati per scorgere i più fiochi barlumi personali nelle tenebre impersonali che si estendono alle due estremità della mia esistenza. Che queste tenebre siano causate solo dalle pareti del tempo che separano me e i miei pugni contusi dal mondo libero in cui il tempo è assente, è una convinzione che volentieri condivido con il selvaggio più vistosamente dipinto. Ho viaggiato all'indietro con il pensiero – e il pensiero inesorabilmente si affievoliva man mano che procedevo – in regioni remote dove ho brancolato alla ricerca di una qualche uscita segreta per scoprire alla fine che la prigione del tempo è sferica e senza sbocchi. Tranne il suicidio, ho provato di tutto. Mi sono scrollato di dosso la mia identità per poter sgattaiolare, da spettro qualunque, in reami che preesistevano al mio concepimento. Ho sopportato mentalmente la compagnia degradante di romanziere vittoriane e di colonnelli in pensione che ricordavano di essere stati, in esistenze precedenti, schiavi incaricati di portare un messaggio lungo strade romane, o saggi sotto i salici di Lhasa. Ho rovistato nei miei sogni più antichi in cerca di soluzioni e di indizi – e lasciatemi dire subito che rifiuto del tutto il rozzo, abborracciato mondo di Freud*, fondamentalmente medioevale, con la sua stravagante ricerca di simboli sessuali (più o meno come andare a caccia di acrostici baconiani nelle opere di Shakespeare) e i suoi embrioncini incattiviti che spiano, dai rispettivi cantucci genetici, la vita amorosa dei genitori».
E poi uno dice il caso: Serendipità. Proprio ieri leggevo di Thomas Nagel il saggio La morte, contenuto nel suo Questioni mortali, Il Saggiatore, Milano 1986, (traduzione di Annalisa Besussi). Il saggio di Nagel è del 1970, mentre Speack, memory è del 1967. Sarei curioso di sapere se il filosofo morale americano si sia liberamente ispirato a Nabokov (e se Nabokov si sia ispirato a Lucrezio):
«Tutti noi, credo, siamo fortunati a essere nati. Ma […] non si può dire che non nascere è una sfortuna. Questo approccio fornisce anche una soluzione al problema dell'asimmetria temporale, indicato da Lucrezio. Egli osservava che nessuno prova turbamento quando medita sull'eternità che ha preceduto la sua nascita, e affermava questo per mostrare che deve essere irrazionale temere la morte, perché la morte è semplicemente l'immagine allo specchio dell'abisso precedente. Quello [?] non è vero, tuttavia, e la differenza tra i due spiega perché è ragionevole considerarli differentemente. È vero che il tempo che precede la nascita di un uomo, e il tempo che segue la sua morte, sono tempi in cui egli non esiste. Ma il tempo dopo la sua morte è un tempo di cui la sua morte lo priva. Si tratta di un tempo in cui, se non fosse morto allora, sarebbe vivo. Qualsiasi morte, quindi, implica la perdita di una parte di vita che la sua vittima avrebbe vissuto, se non fosse morta in quello o in qualsiasi istante precedente. Sappiamo perfettamente che cosa sarebbe stato per lui averla avuta invece che perderla, e non c'è alcuna difficoltà a identificare il perdente».
*Vedete? Nonostante io (ripeto) ami Nabokov non riesco a seguirlo del tutto nel suo odio viscerale verso Freud. La psicoanalisi non è adatta a lui, concedo: ma lui è un essere (scrittore) perfetto. Nel mondo delle imperfezioni, soprattutto delle imperfezioni mentali, Freud è ancora un valido sostegno per capire i traumi che devastano molti nostri congeneri (me incluso). Ma c'è da capirlo. All'epoca in cui scriveva, la psicoanalisi conobbe un successo crescente e si ebbe un'inflazione delle interpretazioni psicoanalitiche applicate. Si volle fare di Freud il passepartout che consentiva l'accesso a ogni recondito (come Marx spiegava l'economico). Purtroppo non è così; almeno: non così per tutti. Per esempio: per spiegare un Berlusconi basta Franz Anton Mesmer.
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