Credo che dovremmo insegnare ai nostri figli a morire.
Penso che insegnare loro a vivere tralasciando la morte, sia un lavoro di dubbio valore, incompleto, insufficiente.
Comprendo che sia più facile insegnare ad amare la vita che far prendere dimestichezza con l'ineluttabile fine, anche se talvolta è un'impresa titanica anche passare questo amore.
La morte non dovrebbe piombare sulle teste dei bambini come un evento imprevedibile, come una disgrazia nella quale inciampare vivendo, un buco oscuro di cui non parlare ma del quale avere terrore, continuamente, silenziosamente.
La morte non è l'opposto della vita ma un'appendice di essa, vivendo si muore.
Potremmo crescere i nostri bambini ponendo la loro attenzione sull'immortalità dei piccoli gesti, sul passaggio di ricordi, sensazioni, esperienze, sugli scambi profondi, sul petto uguale al loro padre e le unghie spiccicate a quelle del nonno.
Mi piacerebbe far riflettere i miei figli sul fatto che siamo immortali ogni giorno, quando chiediamo ad un amico cosa farà per Natale e mancano ancora sei mesi, quando acquistiamo 16 bottiglie di passata di pomodoro perché era in offerta ed il pensiero ci va ai sughi che prepareremo nelle domeniche di pioggia, alle lasagne con la crosticina ai bordi, quando facciamo l'amore e ci sembra che in quel momento non potremmo morire mai, quando compriamo un piumone caldo per l'inverno che verrà, quando facciamo il cambio di stagione, quando prenotiamo un albergo, quando diciamo:" l'anno prossimo si va in montagna", quando organizziamo un compleanno a sorpresa o nel momento in cui, guidando di mattina presto, pensiamo "stasera preparerò una bella torta".
Siamo davvero immortali, fino a che non moriamo.