Niente è più scandaloso dell’ovvio quando scompagina il piccolo e neghittoso mondo nel quale ci rifugiamo. Anzi qualcosa c’è: trasformare questi momenti di apertura in ferite da richiudere immediatamente con la vecchia pelle protettiva. Così la nuova tragedia del mare, la più grande sui registri di una memoria breve ed episodica, suscita le domande di sempre, nel rito ossessivo e futile, nel quale ci rifiutiamo di darci risposte: ci domandiamo perché e perché l’Europa non si faccia carico della tragedia, non cerchi di di trovare di dare aiuto e dignità a “quelli che vagano inventandosi cammini, che diventano cadaveri consegnati dal mare sulle coste proibite o corpi senza nome che giacciono sotto terra nell’altro mondo dove volevano arrivare” come scriveva Eduardo Galeano scomparso da pochi giorni.
Ma come non è chiaro il perché? Non è evidente che le migrazioni epocali sono dovute al caos, alle guerre, ai milioni di morti provocati per detenere le riserve energetiche e conservare il primato geopolitico, sono il frutto della creazione di nemici sovvenzionati e poi maledetti per la loro barbarie o dell’impoverimento estremo determinato dalle politiche della Banca mondiale e dell’Fmi che pretendono la loro libbra di carne e si servono di elite disposte a tutto, secondo un modello che cominciamo a sperimentare anche sulla nostra pelle?
E quando mai l’Europa dei profitti, delle banche e del mercato si è rivelata attenta alle persone e non le ha invece cinicamente sacrificate ai nuovi poteri? Forse lo abbiamo visto in sogno e ci sembra realtà. Forse non vogliamo prendere atto della logica delle cose e sempre di più ci lasciamo prendere dalla disumanizzazione che si serve del razzismo come di un unguento da spalmare sulla perdita di status sociale di una piccola borghesia impoverita dalla crisi e tradita da poteri che considerava alleati. In effetti c’è poco altro da dire sull’ennesima tragedia dell’ennesimo barcone, se non quella di mettere un secchio metaforico sotto il fiotto parolaio dell’ipocrisia: il dramma della migrazione, non può essere affrontato con gli stessi criteri e nello stesso momento in cui lo si crea. Non potrà certo farlo quell’Europa che per salvare i profitti di qualche banca francese e tedesca ha creato un problema umanitario in Grecia, né quella che ha tenuto bordone ai guerrafondai incistati a Washington e nella Nato per distruggere l’Ucraina, né quella che ha ucciso Gheddafi probabilmente per salvare un presidente gangster, neanche quella che ha collaborato alla creazione di eserciti anti Assad poi confluiti nell’Isis. Farlo davvero e non solo nei documenti significherebbe contraddire lo spirito e il fondamento sui quali agisce.
Oltretutto i migranti che vanno in pasto ai pesci hanno l’ìmperdonabile sfrontatezza di farlo sulle rive di casa, rendendo impossibile ignorarli come accade ai milioni di vittime degli export di democrazia, delle guerre contro il terrorismo auto prodotto, delle missioni di pace, dell’appoggio al medioevo delle petromonarchie, che sono solo numeri esotici sui giornali, lontani sull’atlante e inesistenti nella nostra umanità, esaurita dai due euro sul telefonino e logorata dalla paura per il futuro. Certo, è da quelle situazioni che nasce la migrazione oltre che dai criteri di azione della finanza mondiale: ma proprio per questo i morti sono imbarazzanti. E infatti ciò che chiediamo davvero è solo di non essere messi a confronto con i morti. Che ci siano pure, ma altrove. E ci stupiamo che il resto dell’Europa, investita sì dalla migrazione, ma senza il confronto con queste tragedie, non capisca il nostro dramma psicologico: ci lascia soli con i fantasmi. Per questo si invocano blocchi navali, bombardamenti, invasioni, secondo un immaginario da telefilm di serie B, culmine culturale di certa politica che riesce ad essere persino più ridicola e ottusa nel suo concreto di quanto non sia vergognosa per i propri fini. Ma questo è il cattivismo degli imbecilli, nient’altro che una stampella per evitare di pensare.
Eppure quei morti avrebbero molto da dirci, se non proprio sul piano di una immediata umanità che è ormai merce da spot, su quello che ci aspetta: di essere migranti stanziali, non più cittadini, ma merce dentro la logica di mercato.