Che cosa vuoldire "dialogare"? Affinchépossa esserci dialogo, ogni interlocutore deve riconoscere findall'inizio le "buone ragioni" dell'altro. Il che significache ogni dialogante sa che la sua posizione non è maiassoluta, definitiva, immodificabile. Non sarebbevero dialogo, d'altronde, quello nel quale chi parla lo facessesolamente per motivi, per così dire, "narcisistici":utilizzando cioè l'interlocutore come uno "specchio"in cui riconoscere se stesso. Infatti nell'intreccio dialogicole ragioni dell'altro non sono affatto funzionali, semplicemente,alla riconferma delle proprie tesi, ma sono capaci piuttostod'indurre a un reale mutamento di idee. Ecco allorache, alla base di una buona riuscita del rapporto dialogico vi èla disponibilità di mettere in gioco se stessi; vi è lacapacità di aprirsi a ciò che l'altro mi puòdire. Il discorso che si svolge fra due o più interlocutoricomporta un'esposizione a ciò che ognuno pensa dell'altro eche vuole da lui. Emerge dunqueil rischio particolare di questa forma di scambio comunicativo: ilrischio di divenire altro da quello che si è; il rischio diperdere la propria identità. E tuttavia si tratta di unrischio condiviso, in quanto viene corso da chiunque sia coinvolto inun dialogo autentico. D'altronde, se non vi è questadisponibilità all'apertura non si ha vero dialogo: rimane solouna finzione, una parvenza di esso, più o meno ammantata dicortesia. A Platonedobbiamo una grande scoperta: l'idea che il pensiero consiste in un"dialogo dell'anima con se stessa". Ma lo stesso Platonefinisce per mostrare quanto è facile che l'esperienza deldialogo si trasformi in qualcosa di diverso: in un monologocamuffato. In ognirelazione comunicativa bisogna dunque recuperare non solo la lettera,ma soprattutto lo spirito del dialogo. Infatti nel dialogo autenticosi realizza davvero qualcosa di nuovo. Si compie un'esperienza che almonologo rimane sconosciuta: "si fa", propriamente, la"verità".Per dialogaredobbiamo essere disposti all'ascolto; per dialogare abbiamo bisognodi tempo. Dialogando ognuno si espone all'altro: solo cosìè in grado di diventare se stesso. E questo nonper sua volontà, ma perché nel suo dire, come affermaFranz Rosenzweig, "qualcosa di vero accade sul serio": ilraggiungimento di un'intesa. Qualcosa che, sovente, si realizza anchea prescindere dalle intenzioni che uno può avere. Nel dialogo siattua nel modo migliore quella relazione che unisce gli uomini fra diloro.Comunicare benesignifica rivolgersi a un tu, promuovere un rapporto fra tutti coloroche sono capaci di parola, trasformare ogni relazione fra un io e unesso in un legame fra interlocutori. In tal modo la parola si fadavvero strumento di liberazione: funzionale a una possibileredenzione dell'uomo e del mondo.
(Tratto da "Etica della comunicazione" di Adriano Fabris)
Ho voluto condividere questo pezzo, tratto da uno dei libri che sto studiando per l'esame che affronterò venerdì prossimo, perché sono rimasta molto colpita da tutti questi concetti che apprezzo particolarmente. Chi è al potere dice che quello che studio sia una cosa inutile. Sarà pure vero - perché potrei non avere un futuro sicuro/utile quanto quello del gregge di persone che studia economia o giurisprudenza - ma io personalmente credo che ci sarebbero molti meno problemi se quei caproni che ci governano fossero almeno in grado di dialogare tra loro. Forse, un po' di sana comunicazione non gli farebbe così male.
Giulia