Un riscontro abbastanza comune è l'insorgenza di obesità nelle persone con diagnosi di disturbo dello spettro autistico: spesso il sovrappeso non si rileva subito nell'infanzia anche perché spesso questi bambini possono tendere alla iperattività, ma insorge abbastanza di frequente più avanti nell'adolescenza. Non è difficile immaginare come mai questo possa avvenire: i soggetti con ASD non sono naturalmente facili da gestire, né esistono sul territorio palestre e/o centri ricreativi dove i ragazzi riescano a svolgere attività fisica come i loro coetanei, di conseguenza essi tendono ad essere più sedentari ed a muoversi meno.
Il fenomeno benché noto sul piano qualitativo, fino ad oggi non era stato oggetto di uno studio di tipo quantitativo: da questo punto di vista è abbastanza interessante una ricerca svolta dagli studiosi della Oregon State University, guidati da Megan MacDonald e pubblicata su Autism Research and Treatment. Il punto di partenza è che i bambini e gli adolescenti con ASD (disturbi dello spettro autistico) trascorrono in media ogni giorno 70 minuti in più seduti e svolgono 50 minuti in meno di attività fisica.
Sono stati presi in esame 29 bambini e ragazzi tra i 9 ed i 18 anni alcuni con ASD ed altri con sviluppo tipico: le abilità e le prestazioni fisiche di ciascuno sono state valutate con misurazioni e prove standardizzate, concludendo che le capacità motorie dei giovani con ASD sono sostanzialmente paragonabili a quelle dei coetanei sani, benché i ragazzi con ASD siano meno allenati e restino indietro soprattutto nelle prove di resistenza, tuttavia la minore attività fisica crea nel tempo una disparità di salute che non trova giustificazione nelle condizioni di partenza e potenzialità dei soggetti con ASD.
- Perché è stato svolto uno studio del genere?
L'intento è quello di sensibilizzare le agenzie educative come la scuola, ma anche i familiari sulla importanza della attività fisica non solo per la buona salute dei ragazzi sani, ma anche per quella dei giovani affetti da ASD, malgrado le limitazioni che essi possono presentare nell'organizzare il movimento e nel comprendere e partecipare ad attività sociali rispettando i ruoli e le regole del gioco.
In qualche misura si tratta anche di strutturare sane abitudini familiari ed educative ed anche di superare quella mentalità per la quale, essendo l'autistico una persona con un disturbo della sfera relazionale, resti quest'ultima l'unica area da coltivare e trattare in questi soggetti.
Gli autori consigliano ad esempio di assuefarsi a lunghe passeggiate nel verde per tutta la famiglia e suggeriscono anche alle scuole così come alle strutture presenti sul territorio di attrezzarsi per consentire la partecipazione delle persone con ASD alle attività ginniche e sportive.
Si tratta come è evidente di persone con bisogni speciali e gli adattamenti necessari possono essere di diverso tipo ed impegno, ma si tratterebbe anche di una porta aperta dal territorio alla integrazione dei soggetti disabili i cui bisogni non si limitano in realtà a quelli che possono essere confinati nei luoghi e spazi terapeutici dei centri di riabilitazione, ma sono anche semplicemente bisogni educativi e di salute in varia misura condivisibili nell'ambiente dei pari.