di Pietro Bondanini. Essere oggetto di stupore, ammirazione o di desiderio significa essere amati?
Su questa pagina mi soffermo sul saggio di Alain de Botton pubblicato da Guanda. Si tratta de “L’importanza di essere amati”.
Sul quarto risvolto di copertina l’autore riporta parte del terzo paragrafo del capitolo intitolato al “Desiderio di status” e scrive:
«La vita adulta è caratterizzata da due grandi storie d’amore. La prima, che riguarda la nostra ricerca dell’amore sessuale, è ben nota e ampiamente analizzata: con le sue bizzarrie, è una ricca fonte d’ispirazione per la musica e la letteratura, ed è socialmente accettata e celebrata. La seconda, che riguarda la nostra richiesta di amore al mondo, è invece più segreta e fonte di vergogna. Eppure, questa storia d’amore non è meno intensa della prima, né meno complicata, importante e universale.»
Al secondo paragrafo riporta la fonte sulla quale l’autore ha tratto il convincimento che condurre la propria esistenza si traduca essenzialmente nello stress per non giungere ad essere compreso nella schiera della miriade dei “signor nessuno”. Questa fonte l’autore l’ha tratta da la “Teoria dei sentimenti morali” di Adam Smith riportando alcune frasi sotto la forma di domande-risposte:
«Infatti, a che scopo è diretta tutta la fatica e l’affanno di questo mondo? Qual è il fine dell’avarizia e dell’ambizione, della ricerca del benessere, del potere, del predominio? Forse soddisfare i bisogni naturali? Il salario del più umile lavoratore può soddisfarli [...] Ma allora, da dove deriva quell’emulazione che attraversa tutti i diversi ranghi umani, e quali sono i vantaggi che ci proponiamo con il grande fine della vita umana, che chiamiamo miglioramento della nostra condizione? Essere osservato, ricevere attenzioni, essere considerato con simpatia, compiacimento e approvazione sono tutti vantaggi che ce ne derivano [...] L’uomo ricco si vanta delle proprie ricchezze, perché sente che naturalmente attirano su di lui l’attenzione del mondo [...] L’uomo povero, al contrario, si vergogna della sua povertà. Sente che essa lo pone fuori dalla vista degli altri [...] sentire di non essere preso in considerazione necessariamente attenua la più gradevole speranza, e delude il più ardente desiderio della natura umana. L’uomo povero va e viene senza che nessuno lo noti, e quando si trova in mezzo alla folla è al buio come nel suo tugurio [...] L’uomo raffinato e di rango, al contrario, è al centro dell’attenzione di tutti. Tutti sono ansiosi di guardarlo [...] Le sue azioni sono oggetto della pubblica attenzione. Difficilmente una sua parola o un suo gesto restano ignorati».
Ecco, quindi, l’argomento ovvero: piacere agli altri per essere amati.
Mi chiedo: ma questo è amore?
Al lemma “Amore” il Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano dedica quasi ben ventidue colonne: troppe per dire se in effetti possa essere data una risposta univoca e comprensibile. Senza riportare alcunché dal dizionario, desidero solo rivolgere l’attenzione sul fatto che la parola “amore” comprende un notevole numero di sentimenti caratterizzati da diversi stati qualitativi di passionalità.
Innanzi tutto, a mio parere, l’amore si manifesta come slancio affettuoso, come propensione al possesso pieno e condiviso dell’oggetto desiderato al fine di raggiungere uno stato di gioiosa completezza, infine, come consumazione del vincolo che ne deriva.
Questa definizione vorrebbe racchiudere ogni aspetto del fenomeno amore perché comprende un universo di manifestazioni che possono essere ritenute allo stesso tempo virtuose o perverse in quanto la passionalità, in sé, non è né virtuosa né perversa: ma lo diventa nel quadro etico nel quale questa viene considerata.
Qualche tempo fa, forse in un libro dello “Anchista” Veltroni, lessi la frase sconvolgente che qui trascrivo, eccola:
“Crescere è il continuo provare ad avvicinarsi ed allontanarsi l’un l’altro, finché non si trova la distanza giusta per non ferirsi a vicenda.”
Ma è questa la vita? Si può essere felici ad una distanza giusta per non ferirsi?
La risposta credo di trovarla affermando che, come nelle fiabe:
La speranza ci accompagna
verso un futuro che
immaginiamo essere
portatore di felicità e
benessere
Ora mi chiedo: quale prospettiva può avere una persona che pensa di progettare la propria vita alla conquista di questa una distanza, quasi che debba essere contrattata anche con le persone che amiamo?
E’ felicità, benessere, o non è, piuttosto, quella miserevole solitudine nella quale è sprofondato Rousseau? O, peggio ancora, quella di considerarci l’uno all’altro come “Homo, homini lupus” secondo l’antico suggerimento di Plauto accolto da Hobbes, soprattutto quando Machiavelli, prima di lui, sancì il principio che: “Il fine giustifica i mezzi”, principio che fu così bene coniugato anche dai Gesuiti sino all’’avvento di Papa Francesco?
Il dramma esistenziale del “singolo umano”, tuttavia, si misura in questa distanza e ognuno di noi ha una risposta da dare nel credere e sperare di raggiungere liberamente una meta secondo una distanza che di volta in volta s’aggiustacome d’incanto!
L’amore non va cercato, bisogna donarlo per ottenerlo oltre ogni limite misurabile.
Eppure basta dare uno sguardo allo stato sociale contingente per osservare che donare amore significa mettersi in un sacco di pasticci.
Viviamo da tempo immemorabile nel sospetto che il prossimo si impadronisca della nostra libertà e noi tutti viviamo in un mondo ostile nel quale tutto ciò che deve essere condiviso è oggetto di scambio e dove donare diventa offerta di scambio e ottenere diventa comprare.
E’ possibile immaginare un contesto sociale diverso nel quale, senza coercizione alcuna, la libertà individuale possa esprimersi in prevalenza col dono anziché con lo scambio!
Quanto stress potremmo risparmiarci nel togliere la venalità agli innumerevoli valori che coinvolgono la nostra vita!
E’ un sogno?
Sì è un sogno, ma credo che si possa fare tanto per iniziare a realizzarlo.
Oggi è possibile che il potere sia esercitato secondo linee di sussidiarietà dove il pubblico fa solo ciò che il privato non è in grado di fare cosicché la persona potrebbe essere lasciata libera al punto di “donare con coscienza se stessa” agli altri per accogliere dagli altri il dono di ciò che è utile per il proprio progetto.
Non credo che questa sia un’idea mia. Nei tempi le idee, spesso, sorgono spontanee ed i tempi stessi le suggeriscono perché i presupposti al cambiamento si delineino: occorre cogliere le opportunità e lavorare per gettare le fondamenta. Già qualcuno grida ai quattro venti di sostituire la parola solidarietà con quella della condivisione: questo, a parer mio, sarebbe un buon inizio.
Featured image, Alain de Botton (source, the Net)