13 giugno 1994, Sant’ Antonio, Texas. Nicholas Barclay, un ragazzino di 14 anni, scompare improvvisamente da casa, senza lasciare alcuna traccia di sé. I familiari, come la sorella Carey o mamma Beverly, attoniti ed incapaci di fornire una spiegazione al riguardo, sembrano ormai rassegnati al peggio. Tre anni e quattro mesi più tardi dal tragico evento, il 7 ottobre 1997, a Linares, in Spagna, la polizia locale riceve una misteriosa telefonata, relativa al rilascio di un ragazzo rapito. Incredibile a dirsi, ma dopo tanto tempo e ad una distanza a dir poco notevole dal luogo della scomparsa, Nicholas sarebbe, anzi è, ancora vivo. Certo il suo aspetto ha adesso qualcosa di diverso, il colore degli occhi ad esempio, per non parlare dell’ accento… Ma in fondo è trascorso tanto tempo e le sevizie cui racconta di essere stato sottoposto (rapito insieme ad altri coetanei da una setta di schiavisti del sesso, sarebbe stato oggetto anche di cruente sperimentazioni) sembrerebbero giustificare certe mutazioni, niente che preoccupi comunque la sua famiglia, pronta a riaccoglierlo senza porsi tante domande. Ma proprio quando la reintegrazione, anche sociale, appare pressoché definitiva, un investigatore privato …
Nella cornice di un’ inquietante atmosfera, dove all’interno di una stessa realtà si palesano tante verità, ognuna di queste, pur nella sua diversità, si fa forte di una valenza che le è data dagli occhi di chi guarda in combinazione con le modalità di chi racconta, praticamente la stessa tacita complicità richiesta al pubblico nel buio della sala cinematografica. La struttura più propriamente giallistica soppianterà quella documentaria di base nel finale, dove, fra più persone in precario equilibrio su quella corda tesa che è la vita, in continua oscillazione tra realtà e sospetto, ognuno di noi potrà costruirsi una propria visione di come siano realmente andate le cose, mentre si staglia, poco prima dello scorrere dei titoli di coda, un’unica, straniante, verità.
L’interesse primario dell’individuo, dell’essere umano, è rappresentato dalla propria affermazione, verso se stesso in primo luogo e poi nei confronti degli altri, accettarsi ed essere accettato, anche a costo di apparire diverso da ciò che si è, potendo fare affidamento, nel complice gioco delle parti fra chi recita un ruolo al riguardo e quanti plaudono alla sua interpretazione, sullo scambio, apparentemente satisfattivo, tra la realtà dell’inganno e l’inganno della realtà. L’impostore- The Imposter, in definitiva, può già considerarsi tranquillamente un piccolo cult, sia per l’indubbio fascino visivo e la capacità di rendere gli spettatori parte attiva, sia per l’idoneità a stimolare una serie di riflessioni sull’arte cinematografica, da sempre opportuno tramite per rappresentare tanto il reale quanto l’illusorietà che lo circonda.
Già pubblicato, in data 31 marzo 2014, sul sito di critica e informazione cinematografica Storia dei Film (doppia recensione, a cura di Robin Whalley e Antonio Falcone).