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L’impostore (The Imposter, 2012)

Creato il 03 aprile 2014 da Af68 @AntonioFalcone1

113 giugno 1994, Sant’ Antonio, Texas. Nicholas Barclay, un ragazzino di 14 anni, scompare improvvisamente da casa, senza lasciare alcuna traccia di sé. I familiari, come la sorella Carey o mamma Beverly, attoniti ed incapaci di fornire una spiegazione al riguardo, sembrano ormai rassegnati al peggio. Tre anni e quattro mesi più tardi dal tragico evento, il 7 ottobre 1997, a Linares, in Spagna, la polizia locale riceve una misteriosa telefonata, relativa al rilascio di un ragazzo rapito. Incredibile a dirsi, ma dopo tanto tempo e ad una distanza a dir poco notevole dal luogo della scomparsa, Nicholas sarebbe, anzi è, ancora vivo. Certo il suo aspetto ha adesso qualcosa di diverso, il colore degli occhi ad esempio, per non parlare dell’ accento… Ma in fondo è trascorso tanto tempo e le sevizie cui racconta di essere stato sottoposto (rapito insieme ad altri coetanei da una setta di schiavisti del sesso, sarebbe stato oggetto anche di cruente sperimentazioni) sembrerebbero giustificare certe mutazioni, niente che preoccupi comunque la sua famiglia, pronta a riaccoglierlo senza porsi tante domande. Ma proprio quando la reintegrazione, anche sociale, appare pressoché definitiva, un investigatore privato …

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Opera d’esordio sul grande schermo del regista e sceneggiatore inglese Bart Layton, L’impostore- The Imposter, di recente presentazione al Bergamo Film Meeting dopo aver esordito nel 2012 al Sundance Film Festival, conseguendo man mano vari riconoscimenti (come il BAFTA per il Miglior Debutto), rappresenta una pellicola certo particolare, la cui suggestività è costituita dal felice connubio di diversi generi filmici, innestati sulla struttura portante propria di un docufilm ed arricchiti da una combinazione dei vari elementi tecnici pressoché perfetta, capace di stupire e sconvolgere più volte nel corso della visione, in virtù di quanto messo in atto dall’autore per “giocare” con noi spettatori. Layton, infatti, attraverso la narrazione diretta per bocca di Frédéric Bourdin, noto ladro d’identità internazionale (soprannominato Il camaleonte, la cui figura, interpretata da Marc-André Grondin, era stata già oggetto di un film nel 2010, The Chameleon, per la regia di Jean- Paul Salomé), ci porta a conoscenza di ogni minimo particolare della truffa messa in atto da questi per spacciarsi come Nicholas Barclay, ma allo stesso tempo dissemina vari indizi idonei a depistare e, soprattutto, mantenere viva la suspense.

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Entra quindi gradualmente in scena, con modalità estremamente tese ed avvincenti, divenendo protagonista, la serpe in seno dell’ambiguità propria di ogni essere umano, ben celata dal sipario della realtà , connotata ulteriormente da elementi ripresi dalla migliore tradizione tanto del noir quanto del thriller, come evidenziato anche dalla fotografia di Erik Wilson e Lynda Hall. In una vivida alternanza (un ruolo fondamentale lo gioca al riguardo il montaggio di Andrew Hulme) fra la soggettività espressa dalle interviste alle varie persone coinvolte nelle vicende narrate, e l’oggettività delineata dalla ricostruzione filmica delle loro azioni (e pensieri), ricorrendo anche a materiali di repertorio, l’elemento più propriamente coinvolgente è la progressiva scoperta del se, quando e come la veridicità dei fatti verrà fuori.
Nella cornice di un’ inquietante atmosfera, dove all’interno di una stessa realtà si palesano tante verità, ognuna di queste, pur nella sua diversità, si fa forte di una valenza che le è data dagli occhi di chi guarda in combinazione con le modalità di chi racconta, praticamente la stessa tacita complicità richiesta al pubblico nel buio della sala cinematografica.

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La struttura più propriamente giallistica soppianterà quella documentaria di base nel finale, dove, fra più persone in precario equilibrio su quella corda tesa che è la vita, in continua oscillazione tra realtà e sospetto, ognuno di noi potrà costruirsi una propria visione di come siano realmente andate le cose, mentre si staglia, poco prima dello scorrere dei titoli di coda, un’unica, straniante, verità.
L’interesse primario dell’individuo, dell’essere umano, è rappresentato dalla propria affermazione, verso se stesso in primo luogo e poi nei confronti degli altri, accettarsi ed essere accettato, anche a costo di apparire diverso da ciò che si è, potendo fare affidamento, nel complice gioco delle parti fra chi recita un ruolo al riguardo e quanti plaudono alla sua interpretazione, sullo scambio, apparentemente satisfattivo, tra la realtà dell’inganno e l’inganno della realtà. L’impostore- The Imposter, in definitiva, può già considerarsi tranquillamente un piccolo cult, sia per l’indubbio fascino visivo e la capacità di rendere gli spettatori parte attiva, sia per l’idoneità a stimolare una serie di riflessioni sull’arte cinematografica, da sempre opportuno tramite per rappresentare tanto il reale quanto l’illusorietà che lo circonda.

Già pubblicato, in data 31 marzo 2014, sul sito di critica e informazione cinematografica Storia dei Film (doppia recensione, a cura di Robin Whalley e Antonio Falcone).


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