(di Paolo Maria Rocco)
Oggi anche la città di Pesaro accoglie l’arte di uno dei suoi figli, a lungo, troppo a lungo, oscurata agli ambienti della cosiddetta intellighenzia. Si apre al Centro Arti Visive Pescheria una esposizione delle opere del pittore Orlando, “Nanni”, Boccioletti, in mostra fino al 25 Ottobre. Si intitola “Retrospettiva” questo sguardo portato, dalla Pescheria, nell’universo interiore dell’artista. En passant registriamo che, pur non facendone menzione, il titolo di questa attuale Mostra è lo stesso di quella che, su Nanni Boccioletti, è stata ideata, organizzata e curata da chi scrive e da Studio Arte Zeitgeist, a Fano, nella Galleria Saletta Nolfi, dal 1° al 10 Agosto 2009 e che ricevette, allora, per interessamento del figlio di Boccioletti, Cristian, anche una ‘breve’ in cronaca, su un quotidiano locale. Più dell’informazione stampata, però, seppero fare gli amici e gli estimatori di Nanni Boccioletti che giunsero numerosi al vernissage e che portarono una rinnovata attenzione sull’artista, a quindici anni dalla sua prematura scomparsa, datata 1994, e dopo quindici anni, quindi, di silenzio osservato dagli ambienti culturali pesaresi. Tant’è che, oggi, la Pescheria dimentica quella prima Retrospettiva tenuta nel 2009 a Fano. Non può che fare piacere, dunque, che la Mostra del 2009 abbia potuto agire da catalizzatrice di interessi intorno alla figura di Boccioletti tanto da sollecitare la necessità di organizzarne un’altra oggi, la seconda Retrospettiva, a tre anni di distanza, alla Pescheria di Pesaro. Chiarito ciò, si deve ricordare che la Retrospettiva alla Saletta Nolfi non fu una celebrazione e neppure un risarcimento all’artista così a lungo dimenticato. Non fu una celebrazione quella Retrospettiva fanese, organizzata con l’apporto importante dei familiari di Boccioletti, perché lo stesso Nanni Boccioletti non avrebbe voluto per rispetto della propria volontà innanzitutto (mantenuta durante tutto il suo periodo creativo) di mantenersi, al contrario, discretamente appartato, in secondo piano. Ciò che significa anche, allora, non far parlare di sé ma lasciare che a parlare fossero i suoi quadri, i suoi paesaggi, le sue nature morte, le sue figure. Assecondando egli, così, quell’atteggiamento che è proprio di quelle persone che nell’arte hanno veramente qualcosa di interessante da dire. Non fu, poi, quella Retrospettiva del 2009 un risarcimento all’artista, perché in vita, e fino al 1994, ma poi anche dopo quella data, Boccioletti ha continuato a ricevere (pur evitando di dare ad esse il crisma dell’ufficialità) lusinghiere e autorevoli attestazioni sui suoi lavori. Sulla sua arte si sono interrogati e hanno dato risposte competenti e rilevanti tanti valenti artisti e critici d’arte italiani. Non posso ricordarli tutti ma mi si consentirà di citarne almeno uno, tra i più autorevoli: Carlo Ceci, personalità dell’Arte urbinate e italiana la cui fama ha valicato da tempo i confini del Bel Paese, punta di diamante della Scuola di pittura e incisione urbinate che ha fatto e fa, appunto, scuola nel mondo. E, dunque, se non fu quella Retrospettiva del 2009 un risarcimento (quindici anni di silenzio intorno alle opere di Boccioletti sono pur tanti) è però inevitabile chiedersi perché dal ’94 al 2009 non è stata mantenuta e anzi promossa pubblicamente quell’attenzione su Boccioletti che, comunque, si consolidava nascostamente in alcuni –non tutti sul piano locale- ambienti dell’arte. La risposta è quella che lo stesso artista ha confessato più volte, confermata poi da sua moglie Annamaria e dai figli Cristian e Veronica: nel suo coltivare una certa lontananza dai circuiti cosiddetti ufficiali dell’arte, una lontananza cercata, che (non costituendosi come preconcetto rifiuto di aderire alle convenzioni del mercato dell’arte) trova la sua ragione nella convinzione di Nanni secondo cui una siffatta adesione lo avrebbe privato di quello spazio di assoluta libertà che egli ha sempre difeso per quanto esso gli consegnava il senso più pieno della fedeltà alla propria ispirazione. Questo suo volontario appartarsi però, se ha trasmesso a noi l’esito di quell’esercizio di libertà tradotto in opere di sicuro spessore artistico, ha pesato, pure, sull’Autore, come una sorta di damnatio memoriae: non si è più parlato di Nanni Boccioletti (e, cioè, non sono state organizzate mostre delle sue opere dal ’94 al 2009) perché il meccanismo e gli interessi che mettono in moto il cosiddetto circuito dell’arte, a volte sono perversi e raramente perdonano coloro i quali mostrano di volersene sottrarre, di voler fare a meno delle sue regole (ricordiamo quando Boccioletti, per farsi conoscere da un importante esperto d’arte e gallerista di Venezia, si recò in quella Galleria mentre si svolgeva la mostra di un altro pittore e, ingenuo e a suo modo geniale più che arrogante, appoggiò i propri quadri per terra addossandoli alle pareti degli spazi espositivi, nello sconcerto e curiosità generali; poi, Nanni, ottenne di realizzare, in quella Galleria, grazie alla competenza del collezionista, una delle sue più importanti mostre).
Uno degli scopi della Retrospettiva del 2009 fu dunque anche quello di squarciare il silenzio, la dimenticanza, che, come una nebbia, hanno occultato per troppo tempo l’esperienza creativa di Boccioletti. Un’esperienza che nasce nel segno dell’Impressionismo francese; Monet, Manet, Renoir e, soprattutto, la fase impressionista così importante di Cézanne furono i suoi primi modelli. E’ da quelle ‘suggestioni’ che deriva l’aver fatto egli proprie, come pare, le raccomandazioni che Pissarro rivolgeva a un giovane Cézanne: il porsi davanti al soggetto strutturandolo liberamente sulla tela senza imposizioni di sovrastrutture intellettuali in modo da renderlo solo successivamente secondo il proprio spirito, con l’utilizzo di mezzi pittorici come le tonalità del colore e le vibrazioni della luce. Il risultato è uno spazio dipinto (su tele, ma più spesso cartone, legno, vecchie ante di armadio, sportelli… sui supporti utilizzati da Boccioletti si potrebbe scrivere molto) la cui luce, nonostante lo spessore della materia lo rende come una massa della quale non si percepisce alcuna pesantezza ma corposità. Questa luce e la sintesi tra volume e spazio dà alle cose ritratte il senso della loro durata reale, del loro ripercuotersi nella coscienza nel tentativo di offrire una dimensione emotiva della forma. E’ come se l’artista, Boccioletti, agisse sulla realtà costituendola unicamente dalla percezione degli oggetti. In questo ‘fare pittura’ volto a formare una nuova immagine del mondo ricercata nella coscienza è la consapevolezza che sta alla base dell’operare di Nanni Boccioletti, che si muove dall’aver appreso che anche se la realtà è fuori di noi, noi possiamo conoscerla, farne esperienza solo in quanto è percepita dalla coscienza. La realtà quindi consiste, in quel senso, nella traduzione sulla tela dei dati sensibili che prorompono dalla coscienza. Il linguaggio di Boccioletti è, così, un linguaggio non ancorato a determinate leggi ma al mutare dell’esperienza del mondo nella quale la forma dà spazio alla visionarietà. Se questo impressionismo può essere la chiave di lettura delle opere dell’artista pesarese, pure egli, si deve dire, mostra consapevoli conoscenze dell’arte italiana contemporanea e ne ripercorre alcuni alti esiti e ne utilizza le sollecitazioni per quanto esse si manifestino prossimi al suo intendere la ricerca artistica. Boccioletti lo scopriamo anche morandiano, d’ispirazione: ascoltiamo le idee che Giorgio Morandi espresse in una intervista concessa nel ’57 all’emittente statunitense The Voice of America: “Esprimere ciò che è nella natura, cioè nel mondo visibile è ciò che maggiormente mi interessa; comunicare immagini e sentimenti che il mondo visibile suscita in noi. Ciò che noi vediamo ritengo sia creazione e invenzione dell’artista qualora egli sia capace di far cadere quei diaframmi, quelle immagini convenzionali che si frappongono fra lui e le cose”. Boccioletti ha acquisito e ha riformulato, con i propri mezzi, la lezione morandiana (non certo, però, quella volta al periodo del cubismo e del metafisico). Guardiamo le opere del grande pittore bolognese intitolate “Fiori” (del ’24 e del ’49, in particolare) o alcune sue rappresentazioni della natura, “Paesaggio” (1913, olio su cartone) e ancora “Paesaggio” del ’43, o, infine, il “Cortile di via Fondazza” (’56, olio su tela): è in queste opere, che Boccioletti ha riconosciuto (lo notiamo nei suoi paesaggi, nei suoi scorci di paese, in questa direzione morandiani) la funzione del tempo, il senso del tempo nel quale le cose non sono mai identiche un istante dopo l’altro ma in continua mutazione come la luce del giorno, come l’immagine che perviene alla coscienza. E’ questo che Boccioletti, artista e medico a Pesaro, ci rivela: quanto per lui sia importante cogliere il flusso dell’esperienza; e lo fa quando ci esorta –nella sua unica intervista televisiva del ’94- a cogliere della propria opera pittorica l’identità del “respiro” del paesaggio e dell’uomo che vi abita (“La mia ispirazione nasce dal paesaggio, e dall’uomo che ci vive… uno stesso respiro (…)”). Parole, queste, che introducono ad una dimensione panica, di comunione con la natura (come ho avuto modo di scrivere per la Retrospettiva del 2009) ove non può esservi dissidio tra l’uomo e la natura, perché c’è sempre qualcosa al mondo da portare alla luce, una lontananza –come dice il poeta Giuseppe Conte- dove ritrovare i fantasmi dei propri sogni, le verità delle proprie aspirazioni.
Paolo Maria Rocco
Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro: “Retrospettiva su Orlando Boccioletti”
20-25 Ottobre 2011 . Organizzazione: Istituto d’arte “Mengaroni” di Pesaro.