Che farà in futuro?" mi chiese la commissione. "Il regista come leggiamo qui nelle sue note personali?"
"Lettere o Legge" risposi io, tagliando corto sulle mie aspirazioni assai confuse. La professoressa di italiano ci aveva avvisati di non titubare davanti a questa domanda. L'esame di maturità classica era affar nostro ma di fronte alla scelta del nostro futuro lavorativo avremmo dovuto essere certi ed irremovibili!"Ha le idee chiare. La sua facoltà di sicuro comincerà per "le". "Sapete com'è?" feci io di rimando cercando di rimediare all'incertezza "Lettere sarebbe la mia passione ma Legge mi sembra una laurea più solida visto che gli insegnanti sono tutti precari o squattrinati ...". Un totale di 24 occhi raddoppiati da qualche occhiale e monocolo converse su di me ormai ridotto ad una mucca pezzata di sudore e in lontananza udì partire la musica de "Il buono il brutto e il cattivo" di Sergio Leone.
Inutile dire che nei giorni successivi, quando andavo a sostenere moralmente gli amici, quello di greco incrociandomi nei corridoi mi prendeva bellamente per il culo chiamandomi "il regista!". Per tacere poi della ciliegina sulla torta messa da mio zio poco prima che mi dessero il voto quando affacciandosi alla porta dell'aula disse chiaramente che un'insegnante aveva la faccia da culo.
Diventato maturo in questa maniera traumatica, mi venne la smania di fare il penalista. E ora con una laurea in Giurisprudenza presa con voti altissimi, risultato di un tremendo mazzo giovanile e poi chiusa nel cassetto, non posso certo rimanere sordo a questa chiamata del destino.
Ma come viene in mente di fare l'avvocato? Bè, semplice. Quando sei adolescente non c'è programma tv - dalle soap opera ai talk show - che non ti propini almeno un processo (penale) a settimana con testimoni in preda ad amnesie, referti chiusi in buste di plastica, imputati balbettanti, ritrattisti che intanto li disegnano. Ai miei compagni d'università, ospiti da me una sera, dissi che alla peggio in tribunale avrei portato il foglio da disegno.
E poi ci sono i collaboratori come quello di Perry Mason - Ken Malansky - legale niente male a metà strada tra un cane da tartufi, un trapezista di Moira Orfei e (quando ha tempo) l'avvocato che risolve le cause con le liane, gli inseguimenti in jeep, le capriole carpiate, i lanci dal tetto e le trombate mentre Mason - un po' come Hercule Poirot - se ne sta a scoreggiare in poltrona. Ogni tanto Perry alza la testa dalle carte per dire "ma dov'è finito Malansky?" che in quel momento è leggermente impegnato a schivare un autotreno o una bomba a idrogeno. E quando torna intorcinato nel gesso, l'unica cosa che si sente chiedere è: "cos'hai scoperto?". Non solo. Fa sempre una figura di merda coi giudici arrivando in aula all'ultimo momento per portare le prove di cui Mason si prende tutto il merito e non può manco andare in ferie che il caro Perry ha già n'altro cliente a cui salvare il deretano.
Ma millenovecentosessantatre pagine?
E chi gliela fa