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L'inadeguatezza di una donna in merceria

Creato il 05 febbraio 2011 da Motherbrave
Stamattina ho fatto un salto in una merceria a comprare delle toppe per i pantaloni del mio primogenito. Confesso di avere sempre avuto delle forti resistenze a questo tipo di acquisto, perché ho ben presente l'immagine di noi bambini degli anni Settanta, vestiti con le tute blu o rosse, con le strisce laterali bianche, e le toppe ovali di velluto che venivano preventivamente cucite dalle nostre mamme ancora prima che si bucassero, all'altezza delle ginocchia. Beh, quell'immagine mi ha sempre fatto un po' di tristezza, perché mi fa un po' "trovatella dell'orfanotrofio di Candy Candy". Comunque lo stile di quell'epoca era così, e col tempo ho imparato ad accettarlo e a guardare le vecchie foto con più indulgenza. E poi, visto che una delle attività preferite del mio primogenito è la "derapata spaziale" sulle ginocchia, anche pantaloni messi tipo solo due volte si sfaldano come se avesse passato un mese nella giungla. Quindi niente: o toppe o morte. Questa storia dell'acquisto delle toppe sembra banale, ma mi sono presto accorta che non lo era. Intanto, già per uscire dalla logica consumistica del "si rompe = si compra nuovo" ci ho messo un po'. Poi, una volta accettata l'idea della toppa, si è posto un altro problema: dove si vendono? Qualche supermercato le ha, ma ogni volta che mi ricordo di cercarle, trovo sempre l'espositore semi esaurito. Bene, vuol dire che non sono l'unica. Qualcuno mi parla della merceria, dove credo di non essere mai entrata in vita mia."Sai, quei posti dove vendono tutte le cose per il taglio e cucito, fili, nastri, stoffe, aghi, puntaspilli..."Okay, e dove ne trovo una? No, perché so dire esattamente quante enoteche ci sono nella mia città, so sempre qual è la libreria più vicina, il negozio di dischi e persino le pescherie. Ma la merceria non compare sul mio display. Nemmeno su quello del telefonino con le recenti applicazioni di geolocalizzazione (segno che la merceria non è un luogo molto frequentato nemmeno dagli altri possessori di smartphone). Un'amica me ne segnala una. Entro e mi ritrovo in una specie di suk, dove signore dagli ottant'anni in su sgomitano per attirare l'attenzione delle commesse. Vedo subito le toppe appese: c'è Winnie the Pooh, c'è Superman, c'è Batman, insomma, una bella scelta di forme, di colori e di testimonial."Vorrei quelle toppe"."Le APPLICAZIONI, voleva dire".Sono stata subito corretta dalla commessa, sottolineando l'importante differenza terminologica (e di conseguenza la mia ignoranza). Evidentemente le toppe sono rimaste quelle oscenità ovali di vellutino che dettavano legge negli anni Settanta (e nei secoli prima), mentre poi sono arrivate le applicazioni, che si possono mettere su qualsiasi capo di abbigliamento, a solo scopo decorativo. Io però ce le vedevo bene a coprire i buchi sui pantaloni. Comunque ostento una falsa consapevolezza di quello che stavo dicendo e confermo: "Sì, sì, le applicazioni, certo."La commessa mi guarda con pietà, e il mio primogenito le fornisce definitivamente il quadro della nostra situazione: "Mamma, possiamo comprare questi fili colorati per papà, che li usa sempre per cucire?"

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