Le cantano solo le donne, siano esse madri, sorelle, nonne o madrine e fra le parole e gli sguardi si nasconde un antico incantesimo, quello del sonno. La donna è l’incantatrice, il bambino è l’incantato.
Avrei potuto scrivere delle ninna nanne sarde molto tempo fa, e molto tempo fa mi sono avvicinata all’argomento, ma è solo quando le canti a tua figlia che ne comprendi a pieno il significato atavico. Perché le ninna nanne non sono solo parole e suono, quanto piuttosto azione e intenzione. D’altronde quelli che vengono cantati sono brebus, parole attive, parole magiche, parole di donna.
Dolci, dolcissime e dedicate ai neonati: le ninna nanne sono state da tanti assimilate ai canti di morte. L’intenzione in fondo si somiglia visto che in entrambi i casi si intende far ricorso alla magia del sonno, notturno nel caso del bambino, eterno nel caso del defunto.
Le somiglianze d’altronde non finiscono qui: c’è quell’innato dondolare che è proprio della madre che ninna e de s’attitadora che attitta e a pensarci bene il suono nelle ninna nanne esattamente come nei canti di morte è squisitamente nasale. Il fatto non è esclusivamente sardo, bensì accomuna senza distinzione alcuna i canti etnici orientali e ha ragioni piuttosto sensate: il suono nasale smorza il rumore, impone quasi la chiusura della bocca e le note vibrano giù per le narici raggiungendo il piccolo in una vera e propria carezza sonora.
Ma nell’anninnare dedicato ai neonati esiste una componente aggiuntiva: l’incanto della sorte. Se le janas nella tradizione decretano la fortuna del neo nato, affatandolo beni o mali, sono le mamme ad augurare al proprio piccolo un meraviglioso futuro. Pare quasi che nella parola stia la magia del divenire e che il verbo sia in grado di influenzare i giorni che verranno.
“Oh fiore meu mannu, mai appa a dannu”[1]
“Poi ti do una fortuna manna, pro chi mai in sa vida hapas dolore.
A la cheres?”[2]
Finanche chi augura al proprio figlio di diventare, con l’aiuto della Madonna capo di una bardana trasformandosi a tutti gli effetti un vero e proprio balente-bandito.
“Fizzu e su coro meu benedittu, canno ser mannu diventes bandites. T’azudet sa Mamma Soberana, a diventare capu e sa bardana”[3].
Non è perciò troppo difficile intravedere nel ninnare un antico augurio serale di sonno, di protezione e fortuna che ben si associava al mondo degli amuleti chiamati a proteggere piuttosto concretamente dal malocchio e da sa stria.
La componente cristiana, come spesso accade, è presente e un po’ stona se non se ne comprende il tardo innesto. Per dare maggiore potere alla parola magica in ogni ninna nanna compaiono i santi, Gesù e ancora più spesso la prima mamma cristiana, la Madonna.
Quale che fosse la creatura ultraterrena interpellata per avvalorare le proprie richieste di fortuna e di felicità, le ninne iniziano tutte nel medesimo modo: ninna nanna, anninnia anninnia, anninnia anninnoro, anninnora anninnora sono solo alcuni degli esordi delle ninna nanne sarde che ben si distinguono dalle ballate: queste comunemente iniziano con la caratteristica esortazione “a ballare a ballare” (a duru duru).
Queste ninna nanne – ballate non avevano l’esatta funzione di addormentare il bambino, quanto piuttosto è probabile avessero (e abbiano) uno scopo pedagogico e di insegnamento.
Particolarmente bella la canzone che stringe un parallelo fra osservazione degli astri e tempi di sonno del bambino:
Su soli est calende
Sa luna er bessendu
Ai custu pippiu
Deu seu anniiendu.
Su soli est calau
Sa luna est bessia
Ai custu pippiu
Anninnia anninnia.
Sa luna est calada
Su soli er bessendu
Deu seu anninniendu
Anninnia anninnnia.
Che si trattasse di ballate o di ninne appare comunque chiaro che la notte era un momento piuttosto temuto dal sardo per una miriade di motivi che abbiamo altrove osservato. Risulta piuttosto chiaro se si ascolta questa bellissima preghiera antica della notte “Su lettu meu”, recitata da Caterina Pilo di Ossi, nella quale, per un sonno tranquillo, si invoca la divinità.
Non resta che ascoltare una delle Ninne più dolci che una madre posa cantare al proprio bambino: Sa Ninna nanna de Anton’Istene cantata da Marisa Sannia su poesia di Antioco Casula, il Montanaru. Melanconica e suggestiva anche “Fizzu Meu” di Maria Carta, ma la mia preferita rimane quella cantata dal coro Incantos di Olmedo e della Signora Talia deliziosamente romantica e commuovente, che fa da apri porta al bellissimo cortometraggio Panas di Antonio Pani.
Non ho ricordo di quando mi si cantavano le ninna nanne ma non dubito d’averne ascoltate di bellissime dalla bocca di mia madre e di mia nonna.
Non ho ricordo delle ninna nanne a me dedicate, ma quel che ancora ricordo è il senso di totale abbandono provato in braccio di tua madre: un senso di calore, di leggerezza, un senso di sicurezza. Potranno pure passare le parole e il suono, ma quel senso di protezione e fortuna regalata dalla voce di una madre ti accompagnano per tutta la vita.
Per questo le ninne si rinnovano, cambiano, si modificano ma non si smetterà mai di cantarle ai propri figli. Per questo quelle della tradizione meritano d’essere rilette e ricantante notte dopo notte per un riposo sereno, per un futuro radioso.
Chiedo scusa per il mio sardo scritto un poco carente.
[1] Oh fiore mio grande, ti auguro di non avere mai problemi.
[2] Poi ti do una fortuna grande, perché mai tu abbia dolore in vita. La vuoi?
[3] Figlio del mio cuore benedetto, quando sarai grande ti auguro di diventare bandito. Ti aiuti la Madonna a diventare il capo della bardana.
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Pubblicato il 23 settembre 2013 by Kalaris in Sardegna, Storie di Donne e Streghe