di Augusto Benemeglio
Più di cinquant’anni fa (era il 1956) venne a Lecce Guido Piovene, con la sua gigantesca Buick avorio e la prorompente moglie bionda che la guidava come un ‘amazzone decisionista, una Pentesilea moderna, tesa e plastica, smaltata e ingioiellata da Cartier; e la Lecce cordiale e disincantata del tempo vide venire presso di sé questo scrittore veneto strano, francesizzante, dal “grugno austriaco”, come dice Flora Volpini, una delle sue amanti tradite, quasi “un edonista dell’ambiguità”, con la sua pipa di radica, coi suoi immacolati doppiopetto grigi, le cravatte sgargianti, quasi arroganti, e le pesanti valige di cuoio grasso. Si fermò in un hotel della città e cominciò a prendere appunti per il suo reportage rimasto famoso, il Viaggio in Italia, un po’ alla maniera goethiana, pur essendo egli italianissimo, un vicentino che conosceva tutto della provincia veneta, delle nebbie padane, delle angosce e delle voragini esistenziali.
Goldoni e il barocco leccese
L’autore del celebrato Lettere di una novizia, era arrivato mezzo assopito e quasi ingoiato dalla comoda poltroncina della sua maestosa Buick, ed era come un gatto soriano che viene disturbato nel suo dormiveglia. Scese malvolentieri, quasi di contraggenio, dall’auto americana, guardandosi intorno un po’ annoiato e diffidente. Ma ecco che vide subito qualcosa di inaspettato intorno a sé, qualcosa che non si aspettava di trovare in una città del sud (aveva girato tutta l’Italia, il Salento era la sua penultima tappa, dopo ci sarebbe stato il Lazio, che conosceva, dove concluse il suo viaggio). Piovene vide una città incantevole, in tutto e per tutto degna della sua fama di Firenze delle Puglie, o Atene del Barocco, una città che trovò familiare per lindore, pulizia, bellezza architettonica, tono aristocratico, cultura. Scriverà subito dopo: “Lecce è l’antitesi di Bari. Bari è borghese e trafficante; il carattere dei leccesi inclina invece a una gentilezza un po’ ironica, a un distacco intellettuale. Lecce gli sembrò più simile a Vicenza, o a Bergamo, che alle altre città della Puglia e del sud.
Se dovessi paragonarla ad un’altra città italiana, non cercherei nel Sud, ma piuttosto nella Val Padana, nel Veneto, nell’Emilia, in quelle città che già furono sede di un ducato e di un principato, e in cui finisce di esaltarsi lo spirito di una cultura aristocratica.
Se ne va in giro, a Piazza Sant’Oronzo, vede l’anfiteatro, il Sedile, la chiesetta di San Marco, con il leone di San Marco, “ la cui presenza sembra giustificare Il soffio d’aria veneta circolante nella città. Lecce conserva una qualità signorile, quasi di salotto distinto dai servizi del circondario. Se si entra nella parte vecchia, le molte chiese barocche e i palazzi barocchi, ora di faccia, ora di sghembo, in piazzette e stradine, e disposti tra loro in angoli dal gusto scenico, si direbbero una serie di piccoli teatri. Tutto sembra disposto e ornato per un lieve gioco teatrale; una commedia di Goldoni non vi stonerebbe; facciate di chiese, palazzi e i loro effetti combinati, tramandano attraverso i secoli un animo squisitamente provvisorio, quasi dovessero durare una sera sola, ma una sera che conta, forse definitiva.
Piovene, l’ex conte nero dei tempi del fascismo, si innamora pazzamente di Lecce, va tutto il giorno in giro nelle botteghe di artigiani, fa mille domande, interroga, prende appunti, sorride, annota:
C’è una grande bottega che vende uccelli colorati e fa spicco tra le altre; ma non potrei fare a meno di notare a margine il piacere provato, in questo clima di commedia goldoniana o d’opera allegra, leggendo l’insegna di un parrucchiere, il maggiore della città, e vedendo che il suo nome è Amleto Prete. E’ un nome applicato ad un parrucchiere che dà idee musicali, e forse sarebbe piaciuto a Rossini.
Guido Piovene
E poi se ne va nelle chiese ad ammirare il barocco leccese, “che non è quello di Roma, o quello ardente e chimerico di alcune città siciliane , e nemmeno di altre cittadine pugliese come Martina Franca“. E’ un barocco non strutturale che si esprime con una materia più simile all’argilla che al marmo, la pietra leccese, e non pone limiti all’estro popolare ed al gusto del minuzioso. Cascate d’ornamenti, folte cortine d’edera romantiche, qualcosa di simile a piante subacquee sulle quali s’incrostano conchiglie coralli cristalli che prendono un aspetto meraviglioso.
Chiese e palazzi sono come ravvolti dentro una tonaca di pietra lavorata come lo stucco, sennonché la pietra tenera, esposta all’aria, prende un bel colore dorato. Il grande capriccio di Lecce va da San Matteo al Duomo, d Santa Maria del Rosario a Santa Maria delle Grazie , da Santa Chiara ai Palazzi della nobiltà, fino al Palazzo del Governo e a Santa Croce che è il culmine: aquile, draghi, scimmie, santi, i turchi, le colonne tortili, le balaustre, i trafori, i riccioli, i fiori, la frutta, i nastri svolazzanti. Pure quella facciata dà un’impressione d’armonia, e, come tutta Lecce, incanta.
Il cimitero di Lecce è tra i più belli d’Italia
Guido è felice, ha una spiccata empatia per i leccesi, ne tesse mille elogi:
…hanno un’indole gentile con un fondo brevemente ironico, coltivano l’eleganza, intima ed esteriore, in un modo che ricorda Parma. Anche nei ceti più modesti, uomini e donne appaiono ben vestiti. E’ una popolazione poco meridionale, sono frequenti le persone bionde e di pelle asciutta e chiara. Anche nella parlata la lingua è poco dialettale, senza accenti spiccati. Venendo dalle terre limitrofe, con le loro parlate fortemente caratteristiche, si è improvvisamente tuffati nell’italiano puro. E’ come imbattersi nel mare in una polla d’acqua dolce.
Si ostina a tutti i costi a non volerli considerare “meridionali” (dimentica che qui era Magna Grecia, culla della civiltà) perché hanno delle qualità civiche e culturali di tutto rispetto:
La Biblioteca provinciale, riordinata nel dopoguerra, è tra le migliori del Sud; ci sono cicli di conferenze su temi letterali, musicali, giuridici, storici, psicologici; concerti e rappresentazioni teatrali. E’ una vera università libera, l’ambiente letterario con scrittori e studiosi come Girolamo Comi, Vittorio Bodini, Vittorio Pagano somiglia, in piccolo, a quello fiorentino d’anteguerra, e il premio letterario del Salento ha già risonanza tra i nostri premi letterari nazionali.
Tutto gli piace, perfino il cimitero di Lecce che è – scrive – uno dei più belli d’Italia.
Si accede ad esso per un lungo viale romantico, tra i cipressi e i fiori violetti degli alberi di Giuda: si direbbe un pacifico, classico, soleggiato giardino pubblico.
E se ne scorrazza, felice, a Lecce, con al braccio la sua bellissima moglie bionda, una fanatica ebrea filo-israeliana. Era una delle sue tante contraddizioni. Dirà Enzo Bettiza, suo allievo, che Piovene portava su di sé il peso di tutte le contraddizioni della grande intellighenzia europea fra le due guerre, e vi si avvoltolava dentro non sapendo come uscirne. Intanto, a Lecce, è ovviamente l’ospite d’onore più ambito, viene invitato dappertutto, partecipa a tutto quel che può, con entusiasmo, con un ottimismo radioso, vitale, forse un po’ cinico. Del resto è il suo momento, cavalca l’onda del successo, è celebrato dal pubblico e conteso dagli editori, anche se spesso provoca sentimenti opposti, “quasi sempre oscillanti tra la ammirazione stizzita e la malevolenza pettegola”.
Ora decide di voler visitare tutta la Provincia di Lecce:
la terra d’Otranto degli antichi, il vero fondo d’Italia. E’ una terra ancora appartata e statica, in cui la gente è dedita all’agricoltura o sogna l’impiego statale. Ma forse a cagione di ciò è incantevole, è una zona di silenzio, si riprende fiato, si ritrova un’esistenza misurata su un diverso metro. Non è il mondo di ieri, ma non è ancora il mondo di oggi.
Al limite della terra il faro di Leuca
E ancora:
Nel Salento si è conservata una civiltà dei poveri, di rado si avverte quello stato di disperazione, che porta alla negligenza di sé e che segna il passaggio a una civiltà diversa. Tutto il Salento splende di pulizia, e le sue case si direbbero lavate asciugate dal mare e dal vento.
Trova qualche difetto nell’organizzazione. “Il Salento è stupendo; con un solo difetto che, ad eccezione di Santa Cesarea, sul lido adriatico, il sistema alberghiero rimane primitivo“.
Si reca a Otranto:
città sacra, città tranquilla, dimenticata, è una specie di sintesi della storia salentina. Tra Otranto e Santa Maria di Leuca, sull’estrema punta, è il tratto più bello di costa, una costa selvaggia, dove un arcobaleno che ho visto splendere al tramonto e tra le luci agitate e le nubi squarciate, che versavano porpora da una piccola casa solitaria tra i fichidindia, dava il senso di essere giunti al limite della terra…. E’ stupendo il faro di Leuca, tra mare e mare, con accanto un santuario, mèta di pellegrinaggi, nel quale, secondo le credenze, occorre essere stati per accedere al paradiso sulla costa jonica sorge Gallipoli che è quasi una cittadina d’oriente, tanto sul fronte del porto dalla case bianche, quanto nelle vie tortuose.
Il Salento gli rimarrà per sempre nella memoria come una sorta di viaggio sognato, viaggio dell’anima, e anche nel periodo più buio e tormentato della sua vita, quando dovrà affrontare una malattia devastante che lo porterà rapidamente alla morte in un tunnel senza uscita di atroci sofferenze, di solitudine, di disperazione atea vissuta con religioso stoicismo. E’ il Piovene che scrive con la mano semiparalizzata Verità e menzogna, il suo ultimo lavoro, pubblicato postumo, che assume un valore quasi testamentario (“la bugia ci fa imputridire, la verità dissecca e brucia”); è il malato terminale in crisi con tutto, il suo passato, la ricerca di una verità ultima che gli sfuggiva, del ripudio totale di tutti i valori in cui fino ad allora aveva creduto, letterari, filosofici, morali, politici, culturali, lo scrittore angosciato, devastato nel corpo e nel’anima, delle “Furie”, delle “Stelle fredde”, degli “Idoli e ragione”, “l’ateo nostalgico del sacro” che ricorderà Lecce e il Salento come uno di quei ricordi della purezza, e delle illusioni, dei sogni appunto che appartengono alla prima età, quando la vita e la natura promettono tante cose meravigliose.
Le pagliare e i due mari
Lo immaginiamo in quel Salento di quasi 60 anni fa, ancora edenico, guardare dalle finestre dell’albergo di Santa Cesarea Terme, allora l’unico esistente nel basso Salento, prendere la sua Olivetti portatile e battere i tasti:
Il Salento è una terra tutta piana, con le capanne dei pastori dette pagliare, a forma di cappello conico, quasi piccolissimi trulli. Le costruzioni coniche orientaleggianti sembrano essere nella Puglia del Sud la forma più naturale dell’architettura. E la pianura su cui sorgono è tutta marina, spazzata dai venti tra mare e mare. I riverberi, i luccichii, i soffi dei due mari sembrano quasi incontrarsi a mezz’aria; così tutto si presenta lucido, come se fosse avvicinato da un effetto ottico, ed insieme ingannevole. Sembra anche d’essere sul mare se si alzano gli occhi, contemplando le nuvole che galoppano velocemente tra l’Adriatico e lo Ionio. Il Salento è una terra di miraggi, ventosa; è fantastico, pieno di dolcezza; resta nel mio ricordo più come un viaggio immaginario che come un viaggio vero.