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“L’incantevole Urì” Gibran Kahlil Gibran

Da Lielarousse

 


io

Dove mi conduci, o Incantevole Urì,
e per quanto ancora dovrò seguirti
su questa irta strada, disseminata
di spine? Per quanto ancora le nostre
anime dolenti dovranno salire e discendere
da questo sentiero tortuoso e roccioso?

Come un bimbo che segue sua madre, io
ti seguo, reggendoti l’orlo della veste,
immemore dei miei sogni e assorto
nella tua bellezza, coprendomi gli occhi
col tuo incanto per non vedere la processione
di spettri che si librano sul mio capo,
e una segreta forza mi attrae verso di te,
una forza in me cui non posso oppormi.

Indugia un attimo e lasciami contemplare
il tuo volto; guardami per un attimo; forse
riuscirò a comprendere i segreti del tuo
cuore attraverso i tuoi strani occhi.
Fermati, perché sono stanco, e la mia
anima trepida di paura lungo questo orrido
sentiero. Fermati, perché siamo giunti a
quel terribile crocevia in cui
la Morte abbraccia la Vita.

O Urì, porgimi orecchio! Ero libero
come gli uccelli ed esploravo le
valli e le foreste e volavo nel
vasto cielo. Al vespro mi posavo
sui rami degli alberi a meditare
sui templi e sui palazzi nella città
delle Nubi Variopinte che il sole
erige al mattino e demolisce
prima del tramonto.

Ero come un pensiero, camminavo da solo
ed in pace verso l’Oriente e l’Occidente
dell’Universo, rallegrandomi della
bellezza e delle gioie della Vita,
indagando il meraviglioso
mistero dell’esistenza.

Ero come un sogno, uscivo di soppiatto
da sotto le ali amiche della notte,
penetravo, attraverso le finestre chiuse,
nelle camere delle fanciulle e mi
divertivo a svegliare le loro speranze…
poi mi sedevo accanto ai giovani e ne
turbavo i desideri… poi esploravo
le case degli anziani e penetravo
nei loro pensieri di placido appagamento.
Poi tu catturasti la mia immaginazione,
e da quell’ipnotico momento mi sentii
come un prigioniero che si trascina
le catene, e fui costretto ad entrare
in un luogo sconosciuto… m’inebriai
del tuo dolce vino che mi privò della volontà,
ed ora sono qui a baciare la mano
che mi percuote con violenza. Non riesci
a scorgere, con gli occhi della tua anima,
il mio cuore che si infrange?
Fermati per un momento; sto riguadagnando le forze
e liberando i miei stanchi piedi
dal peso delle catene. Ho infranto
la coppa da cui bevvi il tuo
delizioso veleno… Ma ora mi trovo
sgomento in terra sconosciuta;
quale strada dovrò seguire.

Ho riavuto la mia libertà;
mi accetterai ora come tuo spontaneo
compagno, che guarda il Sole con
occhi vitrei e afferra il fuoco
senza neppure il tremito delle dita?

Ho sciolto le mie ali e sono pronto
a librarmi; accompagnerai un giovane
che trascorre i suoi giorni a vagare
per i monti come un aquila solitaria
e che dissipa le sue notti a vagare nei
deserti come il leone inquieto?

T’accontenterai dell’affetto di chi
considera l’Amore solo un ospite
e rifiuta di accoglierlo
come suo padrone?

Accetterai un cuore che ama, ma mai
si sottomette?
E che arde, ma mai
si strugge?
Ti sentirai tranquilla
con un anima che trepida prima
della tempesta ma mai vi si arrende?
Accetterai come compagno chi non vuole
schiavi, né mai diverrà schiavo?
Mi avrai senza possedermi,
prendendomi il corpo ma non il cuore?

Allora, eccoti la mia mano: prendila con la
tua bella mano. Ed ecco il mio corpo; stringilo
tra le tue amorevoli braccia. Ed eccoti
le mie labbra: schiudi su di esse
il vertiginoso abisso di un bacio.

 



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