Laura MacLem
Classe 1978, innamorata non corrisposta delle materie scientifiche, è stata ricambiata dalle discipline umanistiche, il cui sodalizio è iniziato con l’alfabetizzazione, è proseguito con una laurea inutile come i trampoli per una giraffa, ed è finito rendendosi conto che sarebbe stato meglio fare la ragioniera. Rendersene conto, però, è servito a poco, e l’amore è proseguito nella scrittura, presa scaramanticamente come un gioco, tanto da aver iniziato con le fan fiction. L’interesse suscitato dal pubblico del web è stato tale da convincerla a scrivere qualche storia originale, sempre per gioco, preso però troppo sul serio perché fosse disposta ad ammetterlo. Così, per gioco, ha mandato la sua opera prima “Il Lamento dell’Usignolo” a un concorso letterario edito da Edizioni Montag (casa editrice ultimamente orientata verso l’EAP, ma che ai tempi era ancora quasi esclusivamente free). E il gioco è finito, perché Montag ha pubblicato Il Lamento dell’Usignolo nel 2007, che le ha aperto la strada verso il fantasy.
Titolo: L’incanto di cenere
Autore: Laura MacLem
Serie: //
Edito da: Asengard
Prezzo: 9,90 €
Genere: Romance
Pagine: 212 p.
Voto:
Trama: Una fanciulla e le sue sorellastre, una scarpina di cristallo, topi, zucche e un grande ballo, ma soprattutto un terribile segreto e un patto diabolico… Ma non è la solita storia di Cenerentola, no. Il padre di Christelle, il conte De Lumière decide di sposare una donna, madre di due bambine: Genevieve e Anastasie. Ma il giorno del matrimonio qualcosa va male. Cristhelle viene chiusa in convento per tornare solo anni dopo, durante il debutto in società delle giovani dame. La sorellastra Genevieve in tutto il suo splendore deve rinunciare alle sue scarpette di “cristallo” troppo strette per lei, ma perfette per la sorellastra che decide, contro ogni aspettativa, di debuttare in società a mezzanotte esatta. il ballo per Genevieve è carico di tensione e preoccupazione rivolta alla sua sorellina che si trova da sola a casa con il suo usignolo Armand, affidata alle protezioni della vecchia Berthe. Risvolti horror tingeranno di rosso e color “cenere” l’intera vicenda.
Recensione
di Danylù
Christelle si abbassò e scosse la zucca. Il ratto all’interno ruzzolò con uno
squittio, senza essere riuscito a bucare la scorza; cercò di
scalare le pareti, ma erano troppo ripide e si incurvavano
sopra di lui.
L’animaletto ricominciò a rosicchiare. Genevieve notò
che aveva un bel musino, in barba a tutti quelli che dicevano
che i ratti sono bestie orrende.
La trama è abbastanza lineare nel complesso. Scorrevole quanto basta, originale se considerata il remake macabro di una favola.
I protagonisti sono abbastanza credibili, per quanto alcuni troppo “spessi” rispetto ad altri che rimangono pallide ombre, pur essendo talvolta decisivi. Una favola Dark, talvolta splatter. Non manca qualche clichè, soprattutto nella descrizione di alcune situazioni fin troppo scontate e personaggi al limite dello stereotipo, ma forse la “favola” lo prevede.
Genevieve, la voce narrante, protagonista indiscussa è comunque intrigante, un personaggio in crescita, pensante, a tutto tondo e in grado di farti vivere a volte con reale “compartecipazione” gli eventi.
Ho trovato accattivante il modo di narrare. I dialoghi che a volte divengono pensiero, riflessioni che si trasformano in affermazioni o gesti che hanno riscontro su altri personaggi o sugli avvenimenti stessi.
A volte però è l’autrice a essere la voce di Genevieve e talvolta le due voci si incrociano e gli avvenimenti scorrono così in fretta da divenire confusi. Questo accade soprattutto negli ultimi capitoli dove alcune descrizioni (di combattimenti soprattutto) sono mal gestiti dal pensiero incalzante della protagonista, pensiero però troppo confuso per poter essere trasformato in immagini che il lettore può veder scorrere.
Forse l’autrice da per scontato cose che lei e soltanto lei aveva pensato e conosceva. Nozioni appena accennate nella trama che non davano possibilità al lettore di ricostruire il puzzle. Pochi pezzi distribuiti con non molta cura.
Anastasie, sorellina della protagonista, personaggio con carattere e comunque ben delineata, attribuisce alla sorella maggiore (come ogni sorellina minore che si rispetti) un nomignolo”Vivì“, pretesto che l’autrice userà a metà racconto per introdurre l’unico riferimento al nome “Cenerentola-Cenerella” che si trova nell’intero romanzo. Infatti Cristhelle (che suona un pò come cristallo) con sarcasmo nota quanto sia bello avere dei nomignoli fra “sorelle” e l’acuta Vivì ribatte affibbiandole “cenerella”, che suona quasi come una sfida. L’intero racconto è costellato da svariati personaggi: da Maman, donna austera persa nel galateo e nelle regole sociali. La vecchia Berthe, la governante pagana che “conosce” il male e aiuta la protagonista nella sua lotta contro esso e altri di così poco conto che citarli è più una formalità: il principe, che seppur ha un ruolo resta però troppo vago nelle sue fattezze. La “madrina” di Cristhelle, personaggio che celato nel suo mantello fa comprendere ben poco di sé. Dopotutto credo che la figura del principe sia volutamente poco marcata dall’autrice, in un tempo in cui le principesse non aspettano più di essere salvate; basta pensare a Snow White che è divenuta una guerriera e Gretel cacciatrice di streghe. Quindi il principe azzurro perde sempre più corpo e diviene talvolta se non figura alla pari, addirittura una figura secondaria nella “salvezza” della principessa e dunque nella risoluzione della favola.
I nomi usati dall’autrice sono i nomi Disney (almeno per Genevieve e Anastasie), anche se non possono sfuggire citazioni ad altre versioni della favola stessa. Cenerentola è una di quelle favole su cui gravano varie lacune e la cui memoria si perde nel tempo. Le versioni più famose sono quella Grimm e quella Disney, ma come suddetto, l’autrice conosce anche altre versioni.
Pensiamo all’albero cresciuto sulla tomba della defunta madre-strega di Cristhelle. In una delle versioni canoniche di Cenerentola, è proprio quest’albero a fare i doni alla giovane per poter partecipare alla festa, ed è quello che l’autrice, seppur in versione macabra, racconta.
Le mutilazioni ai piedi di cui si parla durante la storia credo siano riferimento alla prima versione di Cenerentola, venuta dalla Cina, dove avere piedini minuscoli (seppur mutilati) è sintomo di bellezza e nobiltà (vedi anche Vento dell’est, Vento dell’ovest).
Lo stile mi ha intrigata molto. Frasi secche e asciutte, perfettamente coerenti con ciò che la storia racconta, con l’umore generale e con l’ambiente.
A questo punto è doveroso parlare dell’ambientazione. La villa, in cui la maggior parte delle vicende si svolgono, sembrerebbe una normalissima villa, con scalinata di legno, camere ai piani superiori, qualche camino qua e là. Non ci è dato sapere di più, forse perchè la voce narrante conosce l’ambiente in cui vive? Non so se questa è stata una lacuna o una trovata stilistica, sta di fatto che talvolta il lettore si sente smarrito. Più felice la descrizione del giardino del palazzo reale e dell’orto di casa De Lumière, pur lasciando sempre dei buchi scenografici che però vengono abilmente coperti dal pensiero martellante di Genevieve.
Arriviamo a quello che secondo me è il pezzo forte dell’intero romanzo: l’epilogo.
Un modo assolutamente originale di raccontare gli avvenimenti attraverso gli occhi di un usignolo. Armand.
Questo il nome dell’usignolo quando ancora aveva un nome e quando apparteneva ad una giovane: Anastasie. Un protagonista delicato, non a caso un usignolo. Nella tradizione popolare questo uccellino viene spesso indicato di buon auspicio ed è colui che in un certo senso da le ultime sferzate al male.
Interessante come l’autrice ne tracci il punto di vista, e l’espediente usato per raccontare il finale attraverso una sorta di “documentario” sulla vita degli usignoli, l’ho trovato un colpo d’arte, quello che durante tutta la lettura stavo assaporando e aspettando.
E va fatto notare come l’autrice si sofferma più volte sulla questione “animale”, rendendo persino dei ratti (generalmente odiati e temuti) delle bestiole indifese, delle creature che soffrono. Ho apprezzato queste perle riflessive che la MacLem ci da durante tutta la lettura.
La cosa che ho mal digerito è stata la copertina: bella idea ma pessima realizzazione. Sembra l’abbozzo fatto da un grafico, che ha scontornato degli oggetti e dopo averli piazzati sul piano di lavoro, senza la benchè minima composizione, li ha lasciati lì, per pigrizia o incapacità, senza amalgamarli e dargli un minimo di armonia.
Purtroppo per noi lettori tutto fa parte del “libro”, copertina, impaginazione, storia, e quando si tratta di cartaceo persino odore e suono delle pagine.
In ogni caso consiglio il libro alle amanti delle favole e alle principesse che hanno tolto le scarpette coi tacchi, hanno sollevato lo strascico del vestito di gala e a piedi nudi si incamminano verso l’orizzonte. Con quelle scarpe che, per citare l’autrice: “Dipende da che scarpe si indossano quando ci si incammina. E tanto per le scarpe quanto per la fantasia, non sai mai dove puoi finire se non sono quelle giuste!”
Autore articolo: Danylu L.K.
Danylù Louliette K. Ama l'Arte in ogni sua forma. Lettrice di professione, ama recensire, scrivere, illustrare, cantare e danzare con il fuoco. Si occupa di web e digital art, ama il codice e il cyberpunk, i videogames e la tecnologia in generale. Un giusto connubio fra passato e futuro che si scontrano-incontrano in un presente fatto di pagine bianche da scrivere e vivere. Amante della natura non perde occasione di ricordare che è vegana.