Sorrido. In lontananza arrivano le note di un tablao flamenco allestito in una delle tante piazzette che sembrano tirate fuori, tali e quali, da un racconto medievale. I negozi di souvenir, ormai, hanno le serrande abbassate. Un gitano che vende cartoline ci tiene a raccontarmi il suo concetto di cultura. M'ha detto anche del museo scientifico. Del panorama verdeggiante, un po' toscano, a cui s'affaccia un arco. Facciamo che una gliela compro, dai. A metà strada tra Valencia e Madrid, Cuenca si raggiunge facilmente da entrambe le città. E, che tu scelga l'autobus o il treno, il panorama dal finestrino saprà già confermarti che, comunque, hai scelto bene. Ti regala laghi turchini. Distese di terra rossa. Campi di girasoli. Ti regala, in sintesi, gli scenari che ispirarono Cervantes. E a te sembra di vederlo, Don Chisciotte, tra un mulino qua e là e gli spazi di un immenso nulla. Trecentoquaranta incipit di storie ti scoppiettano in testa. Nascono e muoiono nello spazio di chilometri. Comprensive di ispirazioni troppo alte. Stimolate da stereotipi di Spagna. Terrorizzate (sì, davvero) dall'esagerazione del paragone. Strano, che le idee narrative partano dallo stesso posto. Che la letteratura tiri letteratura, come si dice facciano le ciliegie? Se invece fosse proprio qui che vivono le Muse?
Foto: Céline Bt.
Nessuna risposta. Non ci sarà mai. Ci sarà, però, una cittadina che riunisce gli scenari che più amo. E vi diranno, se andrete a Cuenca, che non dovrete perdervi le casas colgadas. Vero, senz'altro. Sospese nel vuoto, ospitano uno dei musei di arte astratta più importanti di Spagna e d'Europa. Sono state costruite a partire dal XIV secolo– Dio solo sa come abbiano fatto - ed emanano un incanto da storie di fate. Vi diranno, anche, di non perdervi il castello. O la cattedrale, imponente e bianchissima nel contrasto con una schiera di edifici colorati.Vi diranno “segui gli itinerari segnati sui cartelli”, “vai ai punti panoramici”, “non ti potrai sbagliare”. Io, però, vi suggerisco soprattutto di perdervi un po'. Perchè qui, nel centro storico di Cuenca, ne vale la pena mille volte più che altrove. Ad ogni angolo ti si apre un po' di storia. Un quadro fatto di colori sempre nuovi. Ogni stradina è meraviglia, anche al di là del caldo e del male ai piedi. Chè se chiudi la cartina, anche solo per un minuto, puoi lasciarti soprendere dal profumo dei fiori. Da una stradina che non sembra portare a nulla, e invece si burla del concetto di “fondo cieco” con le sue visuali mozzafiato. Se cammini senza meta, se esplori senza seguire le frecce, magari incappi in un chitarrista bravo. Suona a ritmo di rumba e bulerìa. Un asiatico balla con la sua donna qualcosa che è tutto tranne che flamenco. E a te viene un sacco voglia di applaudire.
Tra i piatti tipici, da provare il Mojete: sorta di zuppa fredda a base di tonno, pomodoro, olive e uova, vi darà la giusta dose di energia necessaria ad affrontare la scalata. Una volta in cima, poi, potete scegliere di accomodarvi per cena ad uno di quei tavolini gremiti di turisti; Oppure scendere le scale, fare pochi passi, e andare alla ricerca di qualche taverna incantevole.Io, ad esempio, vi consiglio L'Albero. L'ho scoperta per caso e, nonostante il nome italiano, è frequentata in modo pressochè esclusivo dalla gente del paese. Se già vi sembra di per sé un buon segno, sappiate che presenta anche un'offerta di ottime insalate e piatti tipici di Cuenca, per prezzi davvero più che convenienti. Il tutto, in un ambiente veramente suggestivo.
Ultimo consiglio pratico: se raggiungete Cuenca in treno da Valencia, arriverete quasi certamente alla stazione dei treni di alta velocità collocata fuori dalla città. Lì, i bus per il centro non passano così di frequente. Se viaggiate in compagnia, quindi, vi consiglio il taxi: la corsa costa circa 10 euro e ne trovate a decine appena usciti dall'edificio. Buona scoperta, e pensatemi un po'!