Un Dürrenmatt veramente innovativo quello de L’incarico, che esce per i tipi di
Adelphi. Sono sempre stato affascinato dalle tematiche dello scrittore
svizzero, definito più volte, e a ragione, come innovatore/destrutturatore del
romanzo giallo o poliziesco o noir o come dir si voglia. Sta di fatto che Dürrenmatt
prende a pretesto le trame poliziesche e le trasforma in icone paradigmatiche
dell’orrore della quotidianità, orrore che permea la tranquilla banalità della
vita e che tende le sue trappole proprio tra le pieghe apparentemente più
sicure delle istituzioni più insospettabili. Grande cantore della insondabilità del mistero del nostro agire, perfetto conoscitore delle contraddizioni dell’animo umano, osservatore spietato di un occidente ipocrita e pericoloso, Dürrenmatt è stato spesso anche un innovatore e uno sperimentatore nel campo dello stile.
E ne L’incarico l’Autore sviluppa una struttura stilistica che in ventiquattro fasi mostra un divenire affabulatorio che fonde storia e dialoghi, personaggi e avvenimenti, creando un flusso narrativo che contribuisce alla ossessione della descrizione e dell’osservazione.
Un Dürrenmatt quasi delilliano, che costruisce una storia che assomiglia a una delle installazioni pop o underground che popolano, come simulacri accusatori, le storie dello scrittore postmoderno americano. E L’incarico assurge proprio a simulacro accusatorio, a installazione narrativa che va oltre la narrazione, a struttura che vive di vita propria, prescindendo dal suo stesso creatore che diviene, come tutti i personaggi di questa storia, osservatore/osservato. Questo romanzo è del 1986. Chissà se Michael-Lindsay Hogg si è ispirato alle sue vicende quando dieci anni dopo girò Guy-Gli occhi addosso? Un libro. L’incarico, di Friedrich Dürrenmatt (Adelphi).
